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ROMA 131

vano lasciato al popolo di Roma. Non potendo creare nulla di nuovo, si contentò di arricchirle con le statue e i marmi tolti ad altri edifici e sulla porta, quasi a guardia, pose le statue dei due Dioscuri, ultima riproduzione di immagini greche, che il popolo stupito doveva attribuire nelle sue leggendo allo scalpello di Fidia e di Prassitele che per lui rappresentavano la perfezione dell’ideale scultorio.

Anche la grande basilica, eretta nel lembo meridionale del Foro Romano, ci apparisce troppo grande, con le sue tre absidi sproporzionate e i pesanti foro romano — avanzi del tempio di saturno. (Fot. Alinari). cassettoni che ne decorano la volta, e i tronchi di colonne porfiretiche le quali ci dimostrano come l’ultimo imperatore avesse dovuto cercare, con lo sfarzo dei materiali, di ottenere quella meraviglia che i suoi predecessori avevano ottenuto con la sola potenza dell’arte. D’altra parte anche la tecnica veniva meno. Il piccolo tempio circolare che Massenzio innalzò a suo figlio Romolo sotto il Templum Sacrae Urbis e l’Ippodromo che questo stesso imperatore eresse sulla via Appia, ci dimostrano la deficienza della struttura. I muri si assottigliano e il materiale diviene meno saldo. A canto alle rovine delle terme di Caracalla o degli edifici imperiali del Palatino, quei ruderi sembrano tenui scheletri di esseri umani, contro le ossature colossali di giganti. E d’altra parte, l’impoverimento estetico si andava manifestando sempre