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155 ANNALI D'ITALIA, ANNO XLIII. 156

Panfilia. Privò della cittadinanza di Roma uno di quel paese, perchè non intendea la lingua latina; ed altri spogliò del medesimo diritto per loro falli; ma conferillo poi a moltissimi altri a capriccio, nè solo ai particolari, ma anche alle università e città. Più nondimeno quelli erano, che ricorrendo con danari a Messalina e ai liberti favoriti di corte, l’impetravano, di modo che si dicea, che la cittadinanza romana, la quale una volta siccome bel privilegio si pagava carissimo, era divenuta sì a buon mercato, che con un pezzo di vetro rotto si acquistava. Nè sol questo si vendea da Messalina e da’ liberti palatini, ma ancora gli uffizi militari e i governi, con entrar anche a far traffico e a cavar danaro dalla grascia e dall’altre cose che si vendevano: il che fece incarire i lor prezzi, e necessario fu che Claudio nel campo Marzio alla presenza del popolo li tassasse. Ed intanto Messalina più che mai datasi in preda alla libidine1, e sfacciatamente adultera, senza rispetto alcuno del marito, era l’oggetto delle dicerie della gente accorta. Se vero è ciò che ne scrisse Giovenale, lasciato la notte in letto l’addormentato buon consorte, travestita passava ai pubblici lupanari; nè contenta dell’infame suo vivere, forzava anche altre nobili donne, con chiamarle a palazzo a prostituire la lor pudicizia ed anche alla presenza de’ lor mariti. A chi d’essi si contentava, non mancavano onori e posti, agli altri che non amavano questo vituperoso giuoco fabbricava trappole per farli condannare e morire, trovando maniere che non penetrasse agli orecchi del goffo marito l’enorme sordidezza del viver suo. Perciò Claudio era quasi il solo che non sapesse un’infamia sì mostruosa. Anzi scioccamente talvolta cooperava alle pazze voglie di lei, siccome fra l’altre avvenne di Mnestore famoso istrione o sia commediante. Era perduta nell’amore di costui la bestial [p. 156]Messalina, nè mai con preghiere o minacce avea potuto trarlo alle sue voglie, perchè egli dovea ben misurare il pericolo di quel salto. Lamentossi ella con Claudio, che Mnestore la sprezzava, nè volea ubbidirla in certo altro affare. Fattolo chiamare, l’Augusto bufalo gli ordinò di far tutto quanto ella gli comandasse. Nell’anno presente ancora riuscì a Messalina di levar dal mondo due principesse della casa cesarea2, cioè Giulia figliuola di Druso Cesare figliuol di Tiberio, e Giulia Livilla sorella dell’ucciso Caligola, e di Agrippina, poi moglie dello stesso Claudio. Perchè esse voleano gareggiar con lei in bellezza e in possanza, nè usavanle assai finezze, e Livilla inoltre da sola a solo parlava spesse volte con Claudio, seppe così offuscare il cervello del marito Augusto, che senza lasciar loro agio per difendersi, le inviò all’altro mondo, l’una col ferro, l’altra colla fame. Il celebre filosofo Seneca, perchè amico di Livilla, fu in tal congiuntura relegato nella Corsica, e si vendicò poi di Claudio morto con una satira che si è conservata sino ai dì nostri.

Finquì la grand’isola della Bretagna, oggidì appellata Inghilterra, non avea piegato il collo sotto il giogo de’ Romani. Perchè quantunque Orazio3 sembri indicare, che Augusto vincesse que’ popoli, e Servio4 chiaramente l’insegni; pure Strabone5 assai fa conoscere che ciò non sussiste; ed è certo, che anche ai tempi di Claudio que’ popoli viveano sottoposti a’ vari loro re, amici solamente, ma non sudditi di Roma. Per cagione6 d’alcuni desertori non restituiti s’intorbidò la buona armonia fra i Britanni e i Romani; e un certo Berico cacciato dalla Bretagna, tanto seppe dire ad Aulo Plauzio senator chiarissimo,

  1. Juvenalis, Satyra 6. Dio., lib. 60. Sueton. in Claud. cap. 26.
  2. Seneca in Apocol. Suetonius in Claudio, cap. 29.
  3. Horatius, Odar., lib. 3, I.
  4. Servius in Virgil., Georg. 3.
  5. Strab. lib. 2.
  6. Sueton. in Claud., cap. 17 Dio., lib. 60.