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167 ANNALI D'ITALIA, ANNO XLVII. 168

non aveano mai più veduto, nè sarebbono mai più per vedere, si fecero delle risate alle spese di Claudio. Ancor qui notata fu l’adulazione del console Vitellio, perchè fu udito dire a Claudio, che gli augurava di poter dare altre volte questi medesimi giuochi. Comparve ne’ giuochi suddetti Britannico figliuolo dell’imperadore insieme col giovinetto Lucio Domizio, che fu poi Nerone imperadore; e si osservò che l’inclinazion del popolo correa più verso questo giovine, perchè era figliuolo di Agrippina principessa amata da essi, non tanto per essere stata figlia dell’amato Germanico, quanto perchè la miravano perseguitata da Messalina. Si contano ancora sotto quest’anno alcune azioni lodevoli di Claudio1. Prodigiosa era la quantità degli schiavi che ogni nobil romano teneva al suo servigio2. Allorchè i miseri cadeano infermi, costumavano alcuni de’ loro padroni, per non soggiacere alla spesa, di cacciarli fuori di casa, mandandoli nell’isola del Tevere, acciocchè Esculapio, a cui quivi era dedicato un tempio, li guarisse, ed esponendogli in tal guisa al pericolo di morir di fame. Fece Claudio pubblicar un editto, che gli schiavi cacciati da’ padroni, s’intendessero liberi, nè fossero obbligati a tornar a servire. Che se, in vece di cacciarli, volessero levarli di vita, si procedesse contra di loro come omicidi. Inoltre essendo denunziati alcuni di bassa sfera, quasi che avessero insidiato alla di lui vita, niun caso ne fece, con dire, «non essere nella stessa maniera da far vendetta di una pulce, che d’una fiera.» Ordinò ancora, che i liberti ingrati ai lor padroni tornassero ad essere loro schiavi: legge sempre dipoi osservata. Rimosse dal senato alcuni senatori, perchè, essendo poveri, non poteano con dignità calcare quel posto: il che a molti di loro fu cosa grata. E perchè un Sordinio nativo della Gallia, ed uomo ricco, poteva con decoro sostenere la dignità [p. 168]senatoria, e Claudio intese ch’era partito per andarsene a Cartagine, disse: «Bisogna ch’io fermi costui in Roma con i ceppi d’oro;» e richiamatolo indietro, il creò senatore. Insorsero gravi querele contro gli avvocati che esigevano somme immense dai lor clienti. Fu in procinto il senato di proibire affatto ogni pagamento. Claudio volle che si tassasse una molto leggiera somma.

Ma se Claudio da tali azioni riportò lode, maggior fu bene il biasimo che a lui venne, per essersi lasciato condurre a dar la morte in questo medesimo anno a varie illustri persone, per le maligne insinuazioni di Messalina sua moglie. Aveva egli accasata con Gneo Pompeo Magno, Antonia sua figliuola. La matrigna Messalina, che odiava l’uno e l’altra, seppe inventar tante calunnie, dipingendo il genero Pompeo per insidiatore della vita di lui, che Claudio gli fece tagliar la testa. Per altro costui offuscava la nobiltà de’ suoi natali con dei vizii nefandi. Nè qui si fermò la persecuzione. Fece anche morire Crasso Frugi e Scribonia genitori d’esso Pompeo, tuttochè, per attestato di Seneca3, Crasso fosse così stolido, che meritasse d’essere imperadore, come era Claudio. Antonia fu poi maritata con Cornelio Silla Fausto fratello di Messalina. A Valerio Asiatico, da noi già veduto due volte console, le sue molte ricchezze furono in fine cagione di totale rovina4. Con occhio ingordo le mirava Messalina, e massimamente coi desiderii divorava gli orti di Lucullo, da lui maggiormente abbelliti. S’inventarono vari sospetti e delitti di lui, ed avendo egli determinato di passar nelle Gallie, dove possedea dei gran beni, fu fatto credere a Claudio, che ciò fosse per sollevar contra di lui le legioni della Germania. Condotto da Baja incatenato, ed accusato, con forza si difese, allegando che non conosceva alcuno de’ testimoni prodotti contra di lui. Si fece

  1. Dio., lib. 60.
  2. Sueton. in Claudio, cap. 25.
  3. Seneca in Apocol.
  4. Tacitus, Annal., lib. II, cap. I.