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177 ANNALI D'ITALIA, ANNO XLIX. 178

dacchè tanta sfortuna avea provato nei precedenti, matrimonii; e che se facesse altrimenti, si contentava d’essere scannato dalle loro mani. Ma andò presto in fumo questo suo proponimento. Tutte le più nobili dame romane si misero in arnese, per espugnar questa debil rocca, mettendo in mostra tutte le lor bellezze naturali ed artificiali, e adoperando quanti lacci sa inventare la loro scuola, sapendo per altro come egli fosse alieno dalla continenza1. Tenevano il primato tre fra le altre, cioè Lollia Paolina, figliuola di Marco Lollio già stato console, e per lei facea di caldi uffizii Callisto, uno dei liberti favoriti di Claudio. La seconda era Elia Petina della famiglia de’ Tuberoni, figliuola di Sesto Elio Peto già console, stata già moglie del medesimo Claudio2 prima dell’imperio, e da lui ripudiata per lieve cagione. Perorava per questa Narciso, altro potente liberto di corte, di cui già s’è parlato. La terza fu Giulia Agrippina, figliuola di Germanico suo fratello, già cacciata in esilio da Caligola per la sua mala vita, e perseguitata in addietro da Messalina. A promuovere gl’interessi di lei si sbracciò forte Pallante, liberto anch’esso di gran possanza nel cuore di Claudio. E questa in fine vinse il pallio. Benchè fosse stata maritata due volte; cioè più di vent’anni prima a Gneo Domizio Enobarbo, a cui partorì Lucio Domizio Enobarbo, che vedremo imperadore col nome di Nerone; e poscia a Crispo Passieno, ch’ella fece morire, per non tardar a godere l’eredità da lui lasciatale; e benchè ella avesse passati gli anni della gioventù, pure era assai fresca, e sosteneva il credito d’esser bella, possedendo anche a maraviglia l’arte degl’intrighi e delle lusinghe femminili. A cagion della stretta parentela, essendo Claudio suo zio paterno, godeva ella il privilegio di visitarlo spesso ed assai confidentemente. Questo bastò per farlo cader nella pania, [p. 178]di maniera che fino dall’anno precedente furono concertate fra loro le nozze ed eseguite poi nel presente. In mani peggiori non potea capitar Claudio, perchè in questa donna non si sa qual fosse maggiore o la fierezza o la superbia o l’avarizia. Pure la sua passion dominante e superiore all’altre era l’ambizione, per cui avrebbe sagrificato tutto. Scrive Dione3, esserle stato predetto un giorno da uno strologo, che suo figliuolo Nerone sarebbe imperadore, ma ch’egli stesso l’ucciderebbe. Non importa, rispose ella, mi uccida, purchè regni. In fatti, fin d’allora si diede ella a cercar le vie di accasar Lucio Domizio Enobarbo suo figliuolo (che fu poi Nerone), nato sul fine dell’anno 37 dell’Era nostra, con Ottavia figliuola di esso Claudio Augusto. Perchè tra questa principessa e Lucio Silano erano seguiti gli sponsali alcuni anni prima4, bisognò pensare alla maniera di levar un tale ostacolo con ricorrere alla calunnia, giacchè Silano per l’incorrotta sua vita era esente da veri delitti. Lucio Vitellio console fu l’iniquo mezzano della di lui rovina, con far credere a Claudio, che fra Silano e Giunia Calvina sua sorella passassero intrinsichezze nefande. Perciò Silano, che nulla sapea di questo, vide sè stesso tutto ad un tempo balzato dal grado di senatore, obbligato inoltre a rinunziar la pretura, e rotto il suo maritaggio con Ottavia. Questa fu la prima prodezza di Agrippina, e non era per anche moglie di Claudio.

Ma Claudio, benchè ardente di voglia di effettuar questo matrimonio, tuttavia non osava, perchè presso i Romani non era lecito, non che in uso, che uno zio sposasse una nipote. Prese ancor qui l’assunto di provvedere al bisogno quel gran faccendiere di Lucio Vitellio; ne parlò egli con energia al senato; e i senatori, schiavi d’ogni volere del principe, decretarono la validità di un tal contratto. Celebraronsi dunque le nozze, e in

  1. Sueton. in Claudio, cap. 33.
  2. Idem, cap. 26.
  3. Dio., lib. 60.
  4. Tacitus, lib. 12, cap. 4.