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Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/185

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309 ANNALI D’ITALIA, ANNO LXXVI 310

di Muciano contra di lui diveniva implacabile. Costui pubblicamente era perduto nelle disonestà, e vantava tuttodì i gran servigi da lui prestati a Vespasiano: suo dono chiamava ancora quel diadema ch’egli portava in capo. A tanto giunse talvolta questa sua boria, e la fiducia de’ meriti propri, che nemmeno portava rispetto allo stesso imperadore. E pure nulla più fece risplendere, che magnanimo cuore fosse quel di Vespasiano, quanto la pazienza sua in sopportare quest’uomo, temendo egli sempre di contravvenire alla gratitudine se l’avesse disgustato, non che punito. Anzi neppure osava di riprenderlo in faccia; ma solamente con qualche comune amico talora sfogandosi, disapprovava la di lui maniera di vivere, e diceva: Son pur uomo anch’io: tutto acciocchè gli fosse riferito, per desiderio che si emendasse1. Fu anche dagli amici consigliato Vespasiano di guardarsi da Melio Pomposiano; perchè egli fatto prendere il proprio oroscopo, si vantava che sarebbe un dì imperadore. Lungi dal fargli male, Vespasiano il creò console (noi non ne sappiamo l’anno) dicendo più probabilmente per burla che da senno; Costui si ricorderà un giorno del bene che gli ho fatto. Dedicò esso Augusto, cioè fece la solennità di aprire e consecrare il tempio della Pace, da lui fabbricato in Roma in vicinanza della piazza pubblica, per ringraziamento a Dio della tranquillità donata al romano imperio, e particolarmente a Roma, dopo tanti torbidi tempi patiti sotto i precedenti tiranni. Plinio2 chiama questa tempio una delle più belle fabbriche che mai si fossero vedute. Erodiano3 anch’egli scrive, ch’esso era il più vasto, il più vago e il più ricco edifizio che si avesse in Roma. Immensi erano ivi gli ornamenti d’oro e d’argento; e fra gli altri vi furono [p. 310]messi il candelabro4 insigne e gli altri vasi portati da Gerusalemme dopo la distruzione di quel ricchissimo tempio. Ma che? questa mirabil fabbrica circa cento anni dipoi, regnante Commodo Augusto, per incendio, o casuale o sacrilego, rimase affatto preda delle fiamme.


Anno di Cristo LXXVI. Indizione IV.
Clemente papa 10.
Vespasiano imperadore 8.


Consoli


Flavio Vespasiano Augusto per la settima volta, e Tito Cesare per la quinta.


Abbiamo sufficienti lumi per credere sostituito all'uno di questi consoli nelle calende di luglio Domiziano Cesare, probabilmente per la cessione di Tito suo fratello. Secondo il Panvino5, succedette ancora all'altro console ordinario Tito Plautio Silvano per la seconda volta. Ma non altro fondamento ebbe quel dotto uomo di assegnare all'anno presente il secondo consolato di costui, se non il sapere ch'egli due volte fu console. Che nel gennaio di quest'anno nascesse Adriano, il qual poscia divenne imperadore, l'abbiamo da Sparziano. Fiorì ancora in questi tempi, per attestato di Eusebio6, Quinto Asconio Pediano, storico di molto credito; di cui restano tuttavia alcuni Commenti alle Orazioni di Cicerone. In età di anni settantatrè divenne cieco questo letterato, e ne sopravvisse dodici altri, tenuto sempre in grande stima da tutti. Era in questi tempi governator della Bretagna Giulio Frontino, e gli riuscì di sottomettere i popoli Siluri in quella grand'isola all'imperio romano. Era venuto a Roma Agrippa7 re dell’Iturea, figliuolo di Agrippa il grande, stato già re della Giudea; avea

  1. Sueton., in Vespasiano, c. 14. Dio., lib. 66.
  2. Plinius, lib. 36, cap. 15.
  3. Herodian., lib. 1, c. 14.
  4. Joseph., de Bello Judaic., lib. 7, c. 14.
  5. Panvin, in Fastis.
  6. Eusebius, in Chronic.
  7. Dio., lib. 66.