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325 ANNALI D'ITALIA, ANNO LXXXI. 326



Anno di Cristo LXXXI. Indizione IX.
Cleto papa 5.
Domiziano imperadore 1.


Consoli


Lucio Flavio Silva Nonio Basso e Asinio Pollione Verrucoso.


Tali furono i nomi de’ consoli di quest’anno, come apparisce dall’iscrizione rapportata da monsignor Bianchini, e da me1. Ma in un’altra iscrizione da me data alla luce, il primo console è appellato Lucio Flavio Silvano. Di lagrime e sospiri abbondò Roma in questo anno. Un ottimo principe oramai la governava, che amava tutti come figliuoli, comunemente ancora amato da ognuno, e che perciò avea conseguito un titolo, non prima nè poi dato ad alcun altro de’ romani imperadori, cioè era chiamato2 la delizia del genere umano. O sia ch’egli non si sentisse ben di salute, o che qualche cattivo presagio gli facesse apprendere vicina la morte; perciocchè non si può dire, quanto i Romani d’allora fossero superstiziosi, e dai vari accidenti vanamente deducessero i buoni o tristi successi dell’avvenire, o pur badassero agli strologhi: fuor di dubbio è, che Tito Augusto nulla operò in quest’anno di singolare. Si fecero degli spettacoli, e vi assistè; ma nel fin d’essi fu veduto piagnere. Comparve ancora in quest’anno nell’Asia un furbo appellato Terenzio Massimo, che si facea credere Nerone Augusto3, già morto, e fu ben accolto da Artabano re de’ Parti. Anzi parea, che quel barbaro re si preparasse per muovere guerra a Tito, con pretendere di rimettere sul trono un sì fatto impostore. Se Tito se ne mettesse pensiero, non è a noi noto. Volle egli, venuta la state, portarsi alla casa paterna nel territorio di Rieti, e melanconico più [p. 326]del solito uscì di Roma, perchè nel voler sagrificare, era fuggita la vittima di mano al sacerdote; ed essendo tempo sereno, s’è sentito il tuono. Alloggiato la sera in non so qual luogo, gli venne la febbre. Posto in lettiga, continuò il viaggio, e come già fosse certo che quell’era la ultima sua malattia, fu veduto tirar le cortine, e mirare il cielo, e dolersi, perchè in età sì immatura egli avesse da perdere la vita; giacchè egli non sapea di aver commessa azione alcuna, di cui si avesse a pentire, fuorchè una sola. Qual fosse questa, non si potè mai sapere di certo, quantunque molte dicerie ne fossero fatte. Dione4 con più fondamento riferisce ciò al tempo in cui vide disperata la sua salute. Arrivato alla villa paterna, dove il padre avea terminata la sua vita, anch’egli, crescendo il male, vi trovò la morte. Siccome in casi tali avviene, ognun disse la sua. Per quanto scrive Plutarco5, i suoi medici attribuirono la cagion di sua morte ai bagni, a’ quali s’era talmente avvezzato che non potea prendere cibo la mattina, se prima non s’era portato al bagno. Forse l’acque fredde della Sabina gli nocquero. Anche un certo Regolo, che con esso lui si bagnò nello stesso giorno, fu sorpreso da un colpo di apoplessia, per cui morì. Altri pretesero6, che Domiziano suo fratello il levasse dal mondo col veleno, perchè più volte anche prima gli avea insidiata la vita; ed altri7, che veramente egli mancasse di malattia naturale. Aggiugne Dione, che Domiziano, allorchè Tito era malato, e potea forse riaversi, il fece mettere in un cassone pieno di neve, non so, se col pretesto di rinfrescarlo, o di ottener quell’effetto, che oggidì alcuni medici pretendono, con dar acque agghiacciale nelle febbri acute, ma con vero disegno di farlo mo-

  1. Thesaurus Novus Inscript., pag. 312 e pag. 318.
  2. Suet. in Tito, cap. 10.
  3. Zonara, in Chr.
  4. Dio., lib. 66.
  5. Plutar., de Sanit.
  6. Aurelius, in Breviar.
  7. Dio., lib. 66.