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365 ANNALI D'ITALIA, ANNO XCVI. 366

e che da tutti, almeno coi desiderii, se non con altro, è affrettata la morte loro. Però la diffidenza, gastigo che rode il cuore di ogni principe crudele ed ingiusto, crebbe sì fattamente in Domiziano, che cominciò a non fidarsi neppur di Domizia Augusta sua moglie, nè di alcuno de’ suoi liberti, cioè de’ suoi più intimi cortigiani1. Ad accrescere i suoi terrori si aggiunsero le predizioni a lui fatte in sua giuventù dai Caldei, cioè dagli strologi, che dovea perir di morte violenta. Anche Vespasiano suo padre, che non poco badava alla strologia, vedendolo ad una cena astenersi dal mangiar funghi, gli diede pubblicamente la burla, dicendo, che avea piuttosto da guardarsi dal ferro. Ma specialmente in quest’anno, che verisimilmente gli era stato predetto come l’ultimo di sua vita, non sapea dove stare: tanta era la sua inquietudine e paura, tanti i suoi sospetti contra ancora dei suoi più cari e familiari. A tutti perciò parlava brusco, tutti mirava con aria minaccevole. Avvenne inoltre, che per otto continui mesi caddero di molti fulmini, uno sopra il Campidoglio rifabbricato da lui, un altro nel palazzo imperiale, e nella stessa sua camera, un altro sopra il tempio della famiglia Flavia, e un altro guastò l’iscrizione posta ad una statua trionfale di lui, rovesciandola in un monumento vicino. Il popolo superstizioso di Roma, e più degli altri Domiziano, facea mente a tutti questi naturali avvenimenti e ad altri ch’io tralascio, credendoli segni d’imminente disavventura. Nulla nondimeno atterrì cotanto questo indegno imperadore2, quanto un certo strologo appellato Ascletarone, che avea predetta la di lui morte. Preso costui e condotto alla presenza di Domiziano, confessò di averlo detto. Sai tu, disse allora Domiziano, che cosa abbia da intervenire a te in questo giorno? - Signor sì, rispose lo strologo,[p. 366] il mio corpo ha da essere mangiato dai cani. Ordinò tosto Domiziano che costui fosse giustiziato, ed immantinente bruciato il corpo suo. Ma appena mezzo abbrustolito, si svegliò una dirotta pioggia, che estinse il fuoco, e costrinse la gente a ritirarsi, sicchè poterono i cani accorrerne, e far buon convito di quel arrosto. Portatane poi la nuova a Domiziano, oh allora sì che smaniò per la paura3. Più fortunato fu un certo Largino Proclo, aruspice, che in Germania avea predetto dover seguire nel dì 18 di settembre gran mutazione di cose; anzi chiaramente, secondo Dione4, avea accennata la morte di Domiziano. Mandato perciò a Roma in catene negli ultimi tempi di esso imperadore, fu condannato a perdere la testa dopo il suddetto giorno, supponendosi che falsa avesse da riuscire la di lui predizione. Ma verificatasi730 questa, egli restò salvo, e fu anche ben regalato da Nerva.

Vanissima arte è la strologia; ma Dio, pei suoi occulti giudizii, può permettere che i suoi professori, per lo più fallacissimi, talvolta arrivino a colpire nel segno. Ma intanto è da osservare, che quest’arte ingannatrice, piuttosto che predire la morte di Domiziano, fu essa la cagione della morte medesima, di maniera che fors’egli sarebbe sopravvivuto molto, se non le avesse prestato fede. Imperciocchè, siccome abbiamo detto, essendosi conficcata nel di lui animo la credenza di dover esser ammazzato un dì, servì essa a lui di stimolo per commettere buona parte delle sue crudeltà, e a divenire odioso a tutti, con togliere dal mondo i migliori, e chiunque egli riputava più capace e voglioso di nuocergli. Il rendè essa inoltre sì diffidente e sospettoso, che temeva fin della moglie e de’ suoi più intimi famigliari; ed arrivò, per quanto fu creduto, sino alla risoluzione di volerli privar tutti di vita. Ora, tanto Domizia sua moglie,

  1. Sueton. in Domitiano, cap. 15.
  2. Dio., lib. 67.
  3. Sueton. in Domitiano, cap. 16.
  4. Dio., lib. 67.