Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/501

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per quella impresa, spedì innanzi Quintillo suo fratello e con esso lui Aureliano, al quale, per la maggior sperienza negli affari della guerra, diede il principal comando delle milizie nella Tracia e nell’Illirico. L’arrivo di questi due generali con un poderoso corpo di gente quel fu che persuase ai Goti di abbandonar l’assedio di Salonichi, e di gittarsi alla Pelagonia e Peonia, dove la cavalleria dei Dalmatini si segnalò con tagliare a pezzi tremila di coloro. Di là passarono i Barbari nell’alta Mesia, dove comparve ancora l’Augusto Claudio colla sua armata2457; si venne ad una giornata campale, che fu un pezzo dubbiosa. Piegarono in fine i Romani, e fuggirono o fecero vista di fuggire; ma ritornati all’improvviso per vie disastrose addosso ai Barbari, ne stesero morti sul campo cinquantamila, riportando una nobilissima vittoria d’essi. Quei che si salvarono colla fuga voltarono verso la Macedonia, ma assaliti dipoi in un sito dalla cavalleria romana ed oppressi dalla fame, buona parte lasciarono ivi le lor ossa; e il resto veggendosi tagliata la strada, si ridussero al monte Emo, dove fra mille stenti cercarono di passare il verno. Ancor questi li vedremo sterminati nell’anno seguente. Se è vero ciò che racconta Zonara2458, convien che una parte della lor flotta e gente, staccata dal grosso dell’armata, andasse a dare il guasto alla Tessalia ed Acaia. Vi fecero gran danno, ma solamente alle campagne, perchè le città erano ben munite e in guardia, e seppero ben difendersi. Tuttavia riuscì ai Barbari di prendere quella di Atene, dove raunati tutti i libri di quelle famose scuole erano per farne un falò, se un d’essi, più accorto degli altri, non gli avesse trattenuti, dicendo che perdendosi gli Ateniesi intorno a quelle bagattelle, non avrebbono badato al mestier della guerra, e più facile era il vincer essi che altri popoli. Questa disavventura di Atene verisimilmente non altra è che la raccontata di sopra all’anno 267. Aggiungono gli storici, che i Barbari suddetti tornando a navigare giunsero alle isole di Creta e di Rodi, e fino in Cipri, ma senza far impresa alcuna considerabile; anzi, assaliti dalla peste, rimase estinto un buon numero di loro. Altre novità ebbe in questi tempi l’Oriente. Zenobia regina dei Palmireni, dominante nella Siria, scosso ogni rispetto ed ogni suggezione al romano imperio, rivolse i pensieri ad aggrandire il suo dominio colla conquista dell’Egitto2459, mantenendo ivi a questo fine corrispondenza con Timagene, nobile di quel paese. Spedì colà Zabda suo generale con una armata di settantamila persone tra Palmireni e Soriani, il quale, data battaglia a cinquantamila Egiziani venutigli all’incontro, gli sbaragliò: vittoria che si tirò dietro l’ubbidienza di tutto quel ricco paese. Zabda, lasciato in Alessandria un presidio di cinque mila armati, se ne tornò in Soria. Trovavasi in quelle parti Probo o sia Probato con una flotta per dar la caccia ai corsari. Questi, udite le mutazioni dell’Egitto, verso là indirizzò le prore, ed ammassate quelle soldatesche che potè, sì dell’Egitto che della Libia, scacciò la guarnigion Palmirena da Alessandria, e fece tornar lo Egitto sotto il comando de’ Romani. Ma non rallentò Zenobia gli sforzi suoi2460. Rispedì colà con nuovo esercito Zabda e Timagene, che furono sì bravamente ricevuti e combattuti da Probo e dai popoli di Egitto, che ne andarono sconfitti; ed era terminata la scena, se Probo non avesse occupato un sito presso Babilonia di Egitto, per tagliare il passo a duemila Palmireni. Ma Timagene ch’era con loro, siccome più pratico del paese, essendosi impadronito della montagna, con tal forza piombò sopra gli Egiziani, che li mise in rotta.