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69 ANNALI D'ITALIA, ANNO XXIII. 70

perio a farla precipitare in una congiura contro la vita del marito. Scelto Liddo, uno degli eunuchi suoi più cari, un tal veleno gli diede che potesse parer naturale la di lui malattia. Non si conobbe allora l’iniquo manipolator di questo fatto; ma da lì ad otto anni nella caduta di Sejano, ciò venne alla luce per confessione di Apicata sua moglie. Con tal costanza nondimeno portò Tiberio la perdita del figliuolo, che i maligni giunsero fino a sospettare lui stesso complice o autore del veleno, quasichè Druso avesse prima pensato di avvelenare il padre. Neppur Tacito, benchè inclinasse ad annerir tutte le azioni di Tiberio, osò prestar fede a così inverisimil diceria. Del resto non erano tali i costumi e le inclinazioni di Druso, che i Romani internamente si affliggessero della di lui morte. Lasciò egli tre figliuoli di tenera età, ma che l’un dietro all’altro furono rapiti dalla morte, di modo che la succession dell’imperio cominciò a destinarsi ai figliuoli di Germanico. In abbondanza furono fatti onori alla memoria di Druso; ma Tiberio non ammise chi gareggiava per passar seco atti di condoglianza, affinchè non gli si rinnovassero le piaghe del dolore. E perchè da lì a non molto tempo gli ambasciadori d’Ilio, o sia di Troja, venuti a Roma1, gli spiegarono il lor dispiacere a cagion della perdita del figliuolo, per deriderli rispose: «Che anch’egli si condoleva con loro per la morte d’Ettore,» ucciso mille e dugento anni prima.

Buone qualità avea Tiberio mostrato in addietro, e competente governo avea fatto2. Già dicemmo che tolto di vita Germanico, cominciò egli a declinar al male. Peggiorò anche dopo la morte di Druso. Nondimeno a renderlo più cattivo contribuì non poco l’ambizioso e perverso Sejano, le cui mire tendevano tutte a regnar solo col tempo. Perchè gliene avrebbono impedito l’acquisto i[p. 70] figliuoli di Germanico, nipoti per adozione di Tiberio, e raccomandati in quest’anno dallo stesso Tiberio al senato, nè poteva Sejano sbrigarsi di loro col veleno per la buona cura che avea di essi, e della propria pudicizia Agrippina lor madre: si diede a fomentar ed accrescere l’odio di Tiberio contro d’essi, e il mal animo di Livia Augusta contro d’Agrippina. Chiunque ancora de’ nobili sembrava a lui capace d’interrompere i voli della sua fortuna, cominciò egli sotto vari pretesti, e massimamente di aver essi sparlato di Tiberio, a perseguitarli con accuse che in questi tempi ad alcuni, e col progresso del tempo a moltissimi costarono la vita3. Succedeva talvolta che gl’istrioni, o vogliam dire i commedianti, eccedevano nell’oscenità, e tagliavano i panni addosso a determinate donne romane, o pure porgevano occasioni a risse. Tiberio li cacciò di Roma, e vietò l’arte loro in Italia. Alle persone di merito dopo morte erano state alzate alcune statue da esso Tiberio. Videsi nel presente anno questa deformità, cioè, ch’egli mise la statua di bronzo di Sejano nel pubblico teatro. L’esempio del principe servì ad altri, per esporne molte altre simili. E conoscendo già ognuno che costui era la ruota maestra della fortuna e degli affari, risonavano dappertutto le sue lodi ed anche nello stesso senato; piena sempre di nobili l’anticamera di lui; i consoli stessi frequenti visite gli faceano; nulla in fine si otteneva, se non passava per le mani di lui. Una bestialità di Tiberio vien raccontata sotto quest’anno. Un insigne portico di Roma minacciava rovina, essendosi molto inchinate le colonne che lo sostenevano4. Seppe un bravo architetto con argani ed altri ingegni ritornarlo al suo primiero sito. Maravigliatosene molto Tiberio, il fece bensì pagare, ma il cacciò anche fuori di Roma. Tornato un dì costui per sup-

  1. Sueton. in Tiber., cap. 52.
  2. Dio., lib. 57.
  3. Tacitus, lib. 4, cap. 14.
  4. Dio. lib. 57.