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113 ANNALI D'ITALIA, ANNO XXXVII. 114

e poco lungi di là caduto, spirasse. Raccontano altri, che Cajo Caligola gli avesse dato un lento veleno che l’uccise. Altri, che sotto pretesto di riscaldarlo, Macrone gli facese metter addosso di molti panni che il soffocarono; ovvero che gli negasse da mangiare, e il lasciasse morire per mancanza d’alimento. Finalmente scrissero altri, che veggendo Caligola1 come Tiberio non la volea finir da sè stesso, lo strangolasse con le sue mani, o pure con uno origliere o sia guanciale gli turasse la bocca, e il facesse ammutolire per sempre. Comunque fosse, morì Tiberio nel suddetto giorno 16 di marzo. Dione scrive nel dì 26. O dell’uno o dell’altro il testo è mancante. Così cessò di vivere questo imperadore, dotato di grande ingegno, ma per servirsene solamente in male; che finchè ebbe paura d’Augusto e di Germanico, nipote e figliuolo suo adottivo, stette in dovere; che simulatore e dissimulator sopraffino si mostrò delle false virtù, ma poi si abbandonò in fine a tutti i vizii; che divenne abbominevole per l’infame sua libidine, ma più per le sue crudeltà ed ingiustizie; che niuno amava fuorchè sè stesso, che fu udito chiamar felice Priamo, per essere morto dopo aver veduti morti tutti i suoi.

Non tardò Cajo Caligola ad avvisare il senato dell’essere Tiberio mancato di vita, con dimandare ancora che decretassero al medesimo gli onori divini. Ma Tiberio era troppo odiato; e siccome il popolo romano a questa nuova diede in risalti d’allegrezza, così commosso andava lacerando la di lui memoria con tutte le maledizioni, e gridando al Tevere, al Tevere, cioè il di lui corpo. Di questa commozione si servì il senato per sospendere la risoluzion degli onori a Tiberio; e Cajo venuto poi a Roma, più non ne parlò. Portato a Roma il cadavere di Tiberio, fu bruciato secondo il costume d’allora; e con poca pompa seppellito. Cajo fece l’orazione funebre; [p. 114]ma con poco encomio di lui, impiegando le parole piuttosto in esaltare Augusto e Germanico suo padre. Già si è detto, quanto fosse amato dai Romani esso Germanico per le sue rare virtù, e Cajo appunto per essere di lui figliuolo, comunemente era amato, giacchè non si erano per anche dati a conoscere se non a pochi tutti i suoi vizii e difetti, che si trovarono poi innumerabili. All’incontro, per l’odio d’ognuno contra di Tiberio, era anche odiato Tiberio Gemello, natural nipote di lui. E però a Cajo non fu difficile l’essere riconosciuto e confermato per imperadore, e il fare che dal senato fosse cassato il testamento di Tiberio, per cui egualmente lasciava ad esso Cajo e Tiberio Gemello l’amministrazion dell’imperio. Così restò egli solo imperadore2 colla podestà tribunizia e coll’autorità ed arbitrio di far tutto, siccome attesta Svetonio, benchè non usasse subito i titoli usati dai due precedenti Augusti. Piena d’ammirazione e di giubilo rimase Roma tutta al vedere con che mirabili e plausibili maniere Caligola desse principio al suo governo; senza riflettere che diversa dal mattino suol essere la sera di molti regnanti. Caligola, dissi, che così era volgarmente chiamato con soprannome a lui dato, allorchè fanciullo trovandosi all’armata in Germania, Germanico suo padre il facea vestir da semplice soldato, e portare gli stivaletti, chiamati Caligae, e usati allora nella milizia. Divenuto poi imperadore riputò egli come ingiurioso e degno di gastigo un tal soprannome; e perciò dagli storici vien mentovato per lo più col nome di Cajo. Affettò dunque Cajo sulle prime di comparir popolare, siccome abbiamo da Svetonio e da Dione; poichè, per conto di Tacito, periti sono i libri suoi, che trattavano della vita di questo iniquissimo principe, e dei primi anni del suo successore. Eseguì egli pontualmente tutti i legati lasciati da Tiberio, e quegli ancora, che Livia Augusta nel suo testa-

  1. Sueton., in Cajo, cap. 12.
  2. Sueton. in Caj., cap. 14. Dio., lib. 59.