Pagina:Annali del principato ecclesiastico di Trento dal 1022 al 1540.djvu/222

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10.° Tutto ciò poi che, come liquido od arbitrato sarà stato restituito al vescovo, e quello che presentemente egli tiene in suo potere, cioè le Giudicarie, con altri beni nella diocesi, ovunque ritrovinsi, venga a lui lasciato godere in pace dai detti duchi, i quali inoltre siano tenuti a non permettere ai loro seguaci che lo molestino in alcun modo.

11.° Che siano date lettere di sicurezza da ambe le parti, corrispondenti al quanto ed al modo da pronunciarsi dagli arbitri.

12.° Che le pretese dei duchi sopra il castello del Buon Consiglio e la casa Wanga siano abolite, verso un compenso a giudizio di comuni amici.

13.° Se il vescovo Filippo morisse, cedesse o rinunziasse avanti l’assoluzione dei duchi e la pubblicazione dei laudi, il vescovo di Coira dovrà rimettere nelle mani di essi duchi i sopra enunciati castelli e fortezze.

14.° Finalmente, che il vescovo di Trento si debba acquietare a questa pace; e se esso, ciò non ostante, movesse guerra ai detti duchi o ai loro sudditi in essa compresi, o a quelli che fossero per accedere, i mentovati Capitani e Comuni di Verona e di Mantova non possano prestare al vescovo Filippo nessun ajuto contro i suddetti duchi, e contro i loro seguaci o dipendenti.

Fermata, in cotesto modo la pace, fu dai rispettivi procuratori ratificata con giuramento, sotto la clausula però, che essa fosse piaciuta ai predetti Capitani e Comuni di Verona e di Mantova. Fu poscia accettata così