Pagina:Annali del principato ecclesiastico di Trento dal 1022 al 1540.djvu/294

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nostra Chiesa, ordì una trama artificiosa e sottile onde impossessarsi di tutto il Principato. A tale scopo giovossi dell’ambizione e della influenza che aveva sui proprii concittadini Rodolfo dei Bellenzani, uomo ricchissimo e avverso ai vescovi per tradizione di sua famiglia. Questi, mosso da privati rancori e dalle promesse di assistenza e di gratitudine da parte del duca Federico, conte del Tirolo, ed esagerando alcune assai lievi cagioni di malcontento del popolo contro i ministri e ufficiali del vescovo, concitò l’animo dei cittadini contro il loro pastore e sovrano. Non paghi essi di aver ottenuto la esclusiva custodia delle mura e le chiavi delle carceri pretoriane, chiesero con orgoglio anche le chiavi del Castello del Buon Consiglio, residenza del vescovo. Ma non essendosi questi prestato alla temeraria esigenza, i congiurati colsero l’occasione ch’egli si era recato alla cattedrale, e in essa gli misero le mani addosso, lo derisero villanamente e lo trassero prigione nella torre di Vanga, presso la porta di S. Lorenzo. Nè di ciò contenti, s’impadronirono di due nobili giovani che l’avean seguito dall’Austria in qualità di paggi o di camerieri, e li sottoposero all’ultimo supplicio. Aggiunge la tradizione che le loro teste, ancora grondanti di sangue, fossero presentate al vescovo nella prigione. Frattanto il Bellenzano ricostituiva a forma popolare il governo della città, e faceva eleggere sedici cittadini, nei quali fosse riposta la pubblica autorità. Ma giunte queste violenti mutazioni all’orecchio di Enrico di Rottenburgo, capitano del Vescovato, residente a Bolgiano, con forte stuolo