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capitolo xxxvii. 105

le bestie sono d’una condizione e fine. Onde dice uno Profeta: Tante sono le tribolazioni del mondo, che non fu mai alcuno che una ora sola avesse riposo, che per qualche modo non avesse qualche doglia; e l’ultimo dolore che l’uomo sente, si è la vecchiezza, ch’è sopra tutti gli mali; perch’ella infiebolisce il cuore, e fa languire lo spirito, e fa crollare la testa, e la faccia crespa, e gli denti marci, e ’l dosso inchinato, e menoma lo vedere e l’udire e l’odorare e ’l saporare e ’l toccare, e mutare lo ’ntendimento. L’uomo vecchio tosto crede e tardi discrede; volontoso è a favellare e tardo a udire, ed è cupido e lamentoso; e sempre loda le cose antiche, e le nuove dispregia. E per tutto questo ch’io ho detto del vecchio, non superbire contr’a lui, e lo non avere in dispetto: ma pensa come dice il Savio: Io sarò come lui. Se tu vuoi sapere, sappi questo, che tu non sai niente; e chi più sa, più dubita. E pogniamo che tu conoscessi le cose segrete del cielo, e le profondità del mare, e le maraviglie della terra, e sapessi ammaestrare e ’ntendere e rendere ragioni di tutte queste cose; però non ti troveresti se non fatica e dolore. Seneca dice: La cupidità si è una pistolenza crudele, la quale fa povero colui che la piglia, perch’egli non mette fine al suo volere; ma siccome è finito uno pensiero, l’altro si comincia. E però dice il Savio: L’avaro non fa mai bene dritto alcuna cosa, se non quando egli muore; perchè la sua vita è ria a sè stesso, e la sua morte è buona ad altrui. E si voglio dire che