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con loro. E avendo uno cavaliere certe melarance, si le portò ad Alessandro; e quando Alessandro l’ebbe in mano, si le buttò in uno grande fiume, e disse: Non voglia Iddio ch’io viva e muoja, se non come farà ciascuno di voi che è qui meco. E veggendo ciò coloro ch’erano presenti, molti si gittarono nell’acqua per averle, sicchè molti n’annegarono, che non poteano durare per la fievolezza della fame. E poco più andarono che avanti trovarono abbondanza di ciò che bisognò loro ad Alessandro e a tutta la sua gente.

CAPITOLO XXXIV.

Della gola appropriata all'avvoltojo.

Gola che è contrario vizio della virtù dell’astinenza, secondo che dice Tullio, si è immoderata volontà di mangiare e di bere per appetito della dolcezza de’ cibi, e non per sustentamento di vita. E puossi assimigliare il vizio della golosità all’avvoltojo, il quale è un uccello che ha tanta cupidità di mangiare, ch’egli andrebbe ben cento miglia per trovare una carogna; e imperò seguitano molto l’oste; ed è segno di battaglia quando eglino appariscono dove la gente sia attendata. Del vizio della gola si legge nella Somma de’ vizj, che tutti gli mali si vengono dalla gola, ch’ella toglie la memoria, e distrugge il senno, e consuma lo ’ntelletto, e corrompe il sangue, turba gli occhi, indebolisce lo spirito, enfia la lingua, guasta il corpo,