Pagina:Antonino Traina - Nuovo vocabolario siciliano-italiano.pdf/11

Da Wikisource.

vii

molte ne ho lasciate che potrebbono togliersi, e ciò è stato pel dubbio che tal voce possa in qualche dizione essere passata nel dialetto.

I vocaboli siciliani aggiunti gli ho in parte raccolti da sui classici in dialetto dal Frate Atanasio da Aci XIII secolo fino agli scrittori moderni, parlo di quelli cui mi venne fatto vedere, e in parte dall’uso. Non mi sia da gridarmi la croce addosso se ho pur registrate voci rancide, poichè avviene che talune vivano tuttavia in qualche proverbio, o in qualche cantuccio dell’isola. Havvi difatti una voce nello Scobar, ripetuta nel Pasqualino, attippari, la quale fu da’ moderni lessicografi messa tra le sferre vecchie; or leggendo io i Canti popolari Siciliani raccolti dal Salomone Marino mi venne veduto in un indovinello di Salaparuta questo verso: quannu di meli la fascedda attipa; ecco che non è voce po’ poi rancida, morta... abbaddatori o baddaturi erano stati buttati fra ’l ciarpume, eppure avendo chiesto a un muratore come si chiamasse quello così così che in italiano chiamasi ballatoio, mi rispose: baddaturi. E se ciò non basta; Vinci registra cataluffu, voce dai moderni lessicografi non voluta registrare o da loro non conosciuta; or bene, il Meli nella Canzone la gran moda presenti ha: ma tanti cataluffi, chi sunnu intaliabili… cospettone! Meli non è un antiquario! Cataluffo (che è nel Vocabolario Italiano del Fanfani) è: mezzo drappo o drappo di mezzana qualità ecc. Questo drappo è qualcosa di Siciliano da ciò che rilevo seguendo lo stesso Fanfani; Cantini, Band. Legg. XIV ecc. Lasciano libere le cataluffe alla siciliana ecc. Esso fu arnese usato, onde il Meli volendo esprimere l’idea di vecchiaia prende la similitudine d’una cosa vecchia, d’una moda; in ogni modo egli conobbe questa voce, la usò, dunque parmi dovrebbe trovar grazia nel Vocabolario. Rinsavito io da tali esempî son andato adagio nello ammazzar vocaboli, e per salvar piuttosto un innocente che sbandire cento rei, ho dato ricetto a qualche voce che potrà esser davvero morta. Non parlo già delle voci non Palermitane; il Vocabolario Siciliano non deve restringersi alla sola capitale, se vuol essere Siciliano; anzi aggiungo che avrei registrate più voci delle interne provincie, ove il mio invito fatto da Firenze il giugno 1867 fosse stato meno sprezzato da’ Municipî Siciliani. A mio credere un simile lavoro non deve intendere esplicitamente a vagliare il fiore del dialetto, quasi vivaio per gli studiosi di esso, quindi ributtando le voci non usate da’ classici vernacoli, o barbare o non capitaliste (se potessi così dire), ma deve tal lavoro intendere a mettere sott’occhio a chi cerca come ogni voce vernacola, quale ch’ella si fosse, la si debba recare in italiano. E ardentemente desidererei che ogni provincia raccogliendo il suo dialetto, tutte unitamente concorressero alla formazione di un più completo Vocabolario Siciliano-Italiano.

Gran parte de’ proverbî Siciliani aggiunti sono tolti dal Catania, dal Veneziano, dal Vigo, altri dalla raccolta del signor Minà-Palumbo, pubblicata negli Annali di Agricoltura Siciliana, ed altri da un Manoscritto favoritomi dal gentilissimo Marchese Mortillaro; altri sono raccolti dall’uso. Essi sono registrati alla voce che a me è parsa dover esserne il soggetto principale; a questo proposito io veggo nel dizionario del Mortillaro, per più comodo, ripetuto a parecchie voci un medesimo proverbio, io per maggior economia li registro alla sola voce principale non ripetendoli altrove che di rado. Per recarli in italiano mi son servito della raccolta de’ proverbi toscani del Giusti.