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CUI — 252 — CUL


Cuitìssimu. add. sup. di cuetu: quetissimo, quietissimo, tranquillissimo.

Cuitista. V. quietista.

Cuititùtini. s. f. Riposo, quiete: chetezza, quietitudine, quietudine.

Cuitizza. s. f. Quiete: quietezza, chetezza.

Cuituliddu. V. cuiteddu.

Cuituni. add. accr. di cuetu: quietissimo, chetissimo, chetone, mansuetissimo.

Cuitùtini. V. cuititùtini.

Cujetu. V. cuetu.

Cujitari. V. cuitari.

Culabbrodu. s. m. Arnese da colare: colabrodo.

Culamentu. s. m. Il colare: colamento.

Culari. v. a. Il far passare la cosa liquida in panno, o in altro, onde n’esca sì sottilmente, che venga netta, e purificata delle fecce che avea in sè: colare, sgocciolare. || In sign. intr. vale gocciolare: colare. || Detto dei ceri accesi vale: struggersi. || cularisi è lo stesso che: bagnarsi, immollarsi, infradiciare, il che accade più spesso per pioggia, che per altro accidente. || Per còliri V. P. pres. culanti: colante. P. pass. culatu: colato. || Immollato, fradicio.

Cularìa. s. f. Azione da bravaccio: bravata, ironicamente.

Cularinu. s. m. La estremità dell’intestino retto, ed è quella parte per dove si manda fuori lo sterco: ano. E se per debilezza, o altra infermità vien fuori dal suo sito, come suole avvenire ai fanciulli non sani, chiamasi: ano rilassato. || met. nesciri lu cularinu, vale affaticarsi eccessivamente: durar molta fatica: ed usasi anche riuscendo bene la impresa. || fari nesciri lu cularinu a qualcunu, vale costringerlo a far qualche pesante servigio contro sua voglia, o pure ridurlo al dovere se deviato, o ritrarne suo malgrado ciò che ci deve, e con pretesti crede di non satisfare. || E per la pancia degli uccelli stantii ingrossata pel cadere degli intestini: culaja.

Cularrussa. s. f. Fico d’India.

Culasarsa. s. m. Spezie di colabrodo con fori più piccoli: passatojo.

Culata. s. f. Acqua, o altra materia liquida come lisciva, o cenerata colata a traverso d’altra cosa: colato, colatura. || Ranno. || Per colpo di culo: culata. || fari culata, lavar la tolda del bastimento.

Culatina. s. f. Il colare: colamento.

Culatizzu. s. m. Mezzo immollato. || L’umor colato: colaticcio.

Culatu. add. Da culari: colato. || Per distillato: colato, scolato. || Per bagnato, asperso di acqua, o di altro liquore: molle, umidiccio, fradicio.

Culatura. s. f. L’atto del colare, e la materia colata: colatura. || Nel pl. culaturi ass. vale vino distillato per sacco V. manica.

Culaturi. s. m. Strumento per il quale si cola: colatojo. || Per il vaso comunemente di terra cotta forato da basso pieno di cenere, per cui si passa l’acqua diventando ranno: colatojo. || culaturi di pasta, di virdura, ecc., vaso bucherato, nel quale si mette la pasta bollita, la insalata, o altro per iscuotersi dall’acqua: relicino, scotitojo, colino. || Panno che copre i panni sudici che sono nella conca del bucato sopra cui si versa la cenerata: ceneracciolo.

Culavrodu. V. culabbrodu.

Culazioni. s. f. Il parcamente cibarsi fuori del desinare, e della cena: colezione, colazione. || fari culazioni di matina, mangiar la mattina innanzi desinare: asciolvere. E il primo pasto che fanno i contadini allora che lavorano al campo, si appella: beruzzo. || Per cena. || Appellasi presso noi anche culazioni il parcamente cibarsi la sera chi osserva il digiuno di precetto, avendo pranzato al mezzodì com’è l’uso: e questo, che in tutto non può eccedere i due terzi di una libbra, e dee consistere in cibi di magro, esclusi i latticinii, chiamasi: refezione. || culazioni altresì intendesi un donativo di un buon cartoccio, o cestella di dolci, che si largisce a ciascun dei membri di una congrega, o confraternità, dopo le pubbliche raunanze per andar attorno processionalmente in certe solennità dell’anno: mancia, ricreazione. || E per quei dolciumi che dispensansi ai fanciulli nella solennità del santo Natale; ed anche ai servi, domestici, e familiari del maggior numero delle case nobili e civili: ceppo. || Per metafora culazioni può significare più cose disparate: come una quantità determinata di lavoro da compirsi in un dato tempo: ironic. un dispiacere, una disgrazia, una perdita, un disconforto improvviso: e da ultimo una sconoscenza, ingratitudine, o altro torto inaspettato: ed anche una minaccia di busse, o effettivo carpiccio al manco da parte di chi ne abbia dritto per correzione.

Culaziunata. s. f. Lo stesso che culazioni nel primo e secondo senso: cibamento, cibazione, colezione. Ma comunemente così suol dirsi quando una brigata va a diporto a sollazzarsi in allegrezza: manicamento, gozzoviglia, stravizzo.

Culaziunedda. dim. di colazione in tutti i significati: colazioncella.

Culaziununa. accr. Parola con cui si aggrandisce, magnifica, ed esalta una colezione, una gozzoviglia di una raunata stravizzante.

Culazzata. s. f. Percossa nel culo in cadendo, o colpo di culo dato a posta a qualche porta, o altrove per far forza: culata, culattata, sculacciata. || – di scupetta, percossa data col calcio dell’archibuso: calcio.

Culazzu. accr. e pegg. di culu: culaccio. || Per la parte infima, o deretana di molte cose: culatta, codazza. || Per il piede dell’archibuso, o altra arme simile: calcio. || Por il fondo della canna di ogni bocca da fuoco: culatta. || E per li maestri fontanieri la parte del doccione di creta, ch’è più larga, onde congiungersi alla parte più sottile dell’altro, che appellano bucchinu. || – di cannila: mòccolo (Sp. culazzo).

Culazzunazzu. pegg. di culazzuni in tutti i significati.

Culazzuneddu. s. m. dim. di culazzuni in tutti i significati. || fig. Giovanetto soro, e di poca esperienza: fraschetta, garzonastro, fraschettino.

Culazzuni. s. m. La parte ultima bassa della camicia, che ai fanciulli pende fuor de’ calzoni, o brache, il di cui fondo non è del tutto cucito: lembo, falda. || E da qui per ischerno si dice ad uomo, o giovine leggiero e di poco giudizio: fraschetta, pippionaccio, lavaceci.

Culè. s. m. Certo arnese usato a guisa di cu-