Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/124

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98 argonautica.

     Entrâr della Tiniade isola, e quivi
     Scesero a terra. Di Latona il figlio
     Che, di Licia venendo, al numeroso
     Degl’Iperbórei popolo tendea,
     910Ad essi apparve. All’alternar de’ passi,
     Giù cascanti su l’ una e l’ altra gota
     Gli ondeggiavano a ciocche inanellati
     I capei d’oro: nella manca mano
     Lucid’arco vibrava, e la faretra
     915Da tergo gli pendea: sotto a’ suoi piedi
     Tutta scoteasi l’isola ed i flutti
     Frangeano gonfii a terra. Un terror sacro
     Tutti gl’invase a quella vista: alcuno
     Non osò nell’aspetto almo del nume
     920Intender gli occhi, e tutti al suolo il capo
     Tenean dimesso. Ei s’involò nell’aere
     Lungi su ’l Ponto; e quindi Orfeo rivolse
     Agli attoniti eroi queste parole:
Compagni, or sacra al matutino Apollo
     925Quest’isola nomiam, quando qui a tutti
     Matutino n’apparve; e qua su ’l lido
     Eretta un’ara, un sacrificio a lui,
     Qual che si può, si faccia: ov’egli poi
     Salvo ritorno al patrio suol ne doni,
     930Allor le cosce di cornute capre
     Gli porrem sugli altari; ora v’esorto
     Con adipe odoroso e libamenti
     Propizïarlo. — Oh fausto e buono a noi,
     Sii sempre a noi nume presente, o sire!