Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/144

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118 argonautica.

     1470Quando Giove a soffiar di Borea mosse
     La veemenza, con acquoso nembo
     Accompagnando il sorgere d’Arturo.
     Dappria nel dì solo de’ monti il vento
     Le foglie in vetta alle più eccelse piante
     1475Lieve scotea, ma nella notte immenso
     Piombò su ’l mare, e levò i flutti in alto
     Fieramente fischiando. Atra caligine
     Ravvolse il ciel; chiuso da nubi al guardo
     Più degli astri il fulgor non apparia,
     1480E fuso è intorno un tenebroso bujo.
     Maceri e in paventosa ansia di morte
     Gìan que’ figli di Frisso trasportati
     Qua e là dall’onde, e già strappate il turbo
     Avea le vele, ed ecco in mezzo or spezza
     1485La dai marosi conquassata nave.
     Inspirati da’ numi allor que’ miseri
     S’abbrancâr tutti quattro a un grosso legno,
     Uno de’ molti che con chiovi acuti
     Pria ben commessi, ora, il naviglio infranto,
     1490Galleggiavan disgiunti; e l’onda e il vento
     Li sospinsero all’isola, di forze
     Spenti, e a poco da morte. Allor di pioggia
     Un gran torrente si versò, che il mare
     Prese, e l’isola tutta e il continente
     1495Che a rincontro vi sta, dagli oltraggiosi
     Mossineci abitato; ed essi i figli
     Di Frisso in un con la gran trave l’impeto
     Della gonfia marea sovra le sabbie