Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/250

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224 argonautica.

     810Per l’ucciso figliuol, cui nell’opima
     Laceria a lui Coronide divina
     Partorì dell’Amiro appo la foce.
     Tal fra’ Celti è la fama. I Minii intanto
     Nè di cibi desìo, nè di bevanda
     815Sollecitava, e a lieta idea nessuna
     Si volgea la lor mente. Essi nel giorno
     Giacevano languenti ed affannati
     Dall’insoffribil puzzo, che dal fiume
     Il fumante Fetonte ancor vapora,
     820E nella notte dell’Eliadi suore
     Udìan gli acuti luttuosi lai,1
     E le lagrime lor, siccome stille
     D’oleoso liquor, gocciâr su l’acque.
Del Rodano di poi nel cupo letto
     825Entrâr, che nell’Eridano decorre,
     E là dove con l’un l’altro si mesce
     Rugghian l’onde allo scontro. Esce quel fiume
     Dall’ima terra ove le porte e i seggi
     Son della notte, e fuor di là correndo
     830Parte nell’Oceán, parte ne sbocca
     Nel Jonio, ed in parte entro il gran golfo
     Della Sarda marina anco si getta
     Da sette foci. Usciti poi dal fiume,
     Passâr nelle lagune tempestose
     835Che spandon di lor acque ampia distesa
     Nelle terre de’ Celti. A trista sorte
     Quivi incontro venìan, chè di quell’acque

  1. Var. al v. 821. Udivano echeggiar gli acuti lai,