Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/279

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libro iv. 253

     Con furor vïolento erutta i flutti,
     Li cacciò forte entro l’arena a tale
     1640Che rimasa nell’acqua era del legno
     Sol la parte postrema. Allor di nave
     Balzaron fuori, e gran mestizia tutti
     Occupò, non veggendo intorno intorno
     Altro ch’aere, e una gran lama di terra
     1645Che via via si distende, a par dell’aere,
     Lontan lontano; e non ruscello alcuno,
     Non sentier, non tugurio in qualche parte
     Di pastor si vedea: tutto una muta
     Cupa quïete possedea quel suolo.
     1650L’un vòlto all’altro con animo afflitto:
     E che nome (diceva) ha questa terra?
     Ove spinti, ove mai n’ha la procella?
     Oh perchè non ardimmo, il cuor francando
     Da un insano timor, la stessa via
     1655Rifar per mezzo a’ Cianei macigni?
     Certo, avversante anche il voler di Giove,
     Era meglio perire, un’animosa
     Grande impresa tentando. Or che faremo,
     Se ne astringono i venti a far qui sosta
     1660Per qual sia breve tempo? ermo, deserto
     Tanto questo terren lungi si stende!
Sì taluno dicea. Dal grave caso
     Sbigottito, smarrito anco lo stesso
     Reggitor del naviglio Ancèo soggiunse:
     1665Ah di morte crudel tutti perimmo!
     Scampo non v’ha. Tremendi guai soffrire