Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/296

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270 argonautica.

     Il naviglio ei guidò fin che sospinto
     2130L’ebbe nel mare, e di repente poi
     S’affondò dentro l’onda. Alla veduta
     Di tal portento un susurrante fremito
     Misero i prenci; e quivi il porto Angòo,
     Quivi d’Argo le insegne, ed a Nettuno
     2135Posero altari, ed a Triton; chè tutto
     Stetter ivi quel dì. L’alba seguente
     Spiegâr le vele, e a destra man radendo
     Quell’erma costa, ivano in là portati
     Dallo spirar di Zefiro; su ’l tardo
     2140Mattin giunsero poi del prominente
     Gomito a vista, e dell’estenso mare
     Di là da quello. Allor cessò d’un tratto
     Zefiro, e insurse un veemente Noto
     Che fe’ lieti gli eroi. Quando poi cadde
     2145Il Sole, e l’astro vespertin rifulse,
     Che gli stanchi arator mette in riposo,
     Ogni vento acquetossi; onde le vele
     Essi calando, e il lungo albero abbasso
     Dechinando, diêr mano a’ lisci remi,
     2150Tutta vogando quella notte e il giorno
     E la notte seguente. Alfin da lunge1
     L’aspra Cárpato apparve; indi tragitto
     Far dovevano a Creta, isola a quante
     Altre n’ha in mar sovreminente e illustre.
     2155Ma il bronzeo Talo da uno scabro scoglio

  1. Var. ai v. 2150-2151. E vogâr tutta notte e il dì seguente
    E la notte successa. Alfin da lunge