Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/298

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272 argonautica.

     2185Oprar d’inopinato ella s’appresta.
     Ella una falda del purpureo peplo
     Stendendosi su l’una e l’altra gota,
     Salì su ’l palco, e per la man Giasone
     Pigliandola, guidolla in fra li banchi.
     2190Là con magiche voci ella invocando
     E molcendo le Parche, avide e preste
     Cagne d’Averno, delle umane vite,
     Divoratrici, e volteggianti in aere
     A dar caccia a’ viventi, umilemente
     2195Tre volte inchina le chiamò, tre volte
     Le supplicò; poi con nocivo intento
     E sguardi infesti affascinò le luci
     Del bronzeo Talo, e tutta in ira accesa
     Gli soffiò contro un pestilente fiato
     2200Di fiera rabbia, e gli schierò dinanzi
     D’atre orribili larve una caterva. —
     Giove padre, stupor grave e paura
     M’agita il cor, se non da morbi solo,
     Se non sol da ferite a noi vien morte,
     2205Ma da lunge pur anco altri la vita
     Toglier ne può. Così colui che bronzo
     Era pur tutto, alla letal potenza
     Della maga Medea domo soggiacque;
     Chè schiantando una roccia a tener lungi
     2210Il naviglio dal porto, a un scabro masso
     Il malleolo percosse, e tosto un sangue
     Ne scorse fuori a liquefatto piombo
     Rassimigliante, e non potè lung’ora