Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/55

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libro i. 29

     Fa da mane a meriggio; e a tese vele
     765Tutto quel giorno se ne gìan col vento
     Che forte in poppa ognor soffiò; ma insieme
     Cessò co’ rai del Sole, onde all’alpestre
     Sintìade Lenno indi approdâr vogando.
Quivi, un anno era corso, a crudel morte
     770Dal furor delle donne ogni uom fu tratto.
     Per le giovani mogli avean concetto
     Odio i mariti, e ne aborrian gli amplessi,
     Dacchè insano li prese amor di schiave,
     Ch’ei dalla Tracia, che di contro è posta,
     775Traean predando; e ciò lo sdegno acerbo
     Di Venere facea, chè da gran tempo
     Lei di Lenno le donne avean negletta
     D’onoranza e di doni. Oh sciagurate,
     D’insaziabil gelosìa furenti!
     780Non sol ne’ letti trucidâr con quella
     I lor proprii mariti: uccisa han tutta
     La progenie virile, a fin che nullo
     Ultor poi fosse della strage orrenda.
     Sola fra tutte Issipile pietade
     785Sentì del vecchio genitor Toante,
     Ch’era de’ Lennii re. Chiuso entro un’arca
     Diello al mare a portar, se scampo forse
     Trovar potesse; e pescatori in salvo
     Trasserlo poi nell’isola ch’Enóe
     790Detta fu prima, e Sìcino di poi
     Da Sìcino, ch’Enóe Najade Ninfa
     Partoriva a Toante, a cui nel letto