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252 Bibliografia

intervento le pratiche dell’esarca potevano anche essere senza risultato. E pure è da notare che sino al secolo ix un forte potere centrale non s’era ancora raccolto nello Stato veneziano presso il suo capo e che per la potenza dei tribuni, capi delle comunità minori, l’autorità del doge non era molto salda, e però poteva darsi benissimo che la proposta di Orso (ammesso anche che fosse stato indotto dall’esarca a farla) non venisse accolta dai tribuni e dal popolo1 tanto più che quegli isolani non avevano mai fatto un’impresa tanto importante e difficile, nè era senza pericolo provocare un vicino così potente come Liutprando, nà forse potevano gli animi essere molto disposti ad aiutare il rappresentante di un imperatore iconoclasta a cui quelle isole s’erano per un momento ribellate dopo il decreto del 726. La curia romana, la quale doveva anche avere coscienza del suo potere sulla politica dei Veneziani rispetto a Bisanzio, perchè di esso erano prova manifesta gli avvenimenti accaduti pochi anni innanzi per la pubblicazione del decreto imperiale circa il culto delle imagini2, comprese benissimo quello stato di cose; quindi Gregorio III vide l’opportunità di scrivere nello stesso senso non solo al doge, ma anche al patriarca, autorità potentissima in quel tempo nello Stato veneziano anche fuori della vita ecclesiastica e religiosa, e scrivendo al doge, a lui pure raccomandò d’adoprarsi presso gl’isolani circa l’impresa anche in vece sua («nostra vice»), vale a dire come avrebbe fatto Gregorio stesso se si fosse recato in persona nel ducato. Così in quella occasione il governo presso gli uomini dello Stato veneziano si faceva anche interprete dei voti del pontefice lontano e l’autorità del doge rispettò a quella proposta ne veniva rinforzata, nè egli aveva motivo di lagnarsi per l’intervento del papa nella politica del comune, come forse sarebbe avvenuto se il pontefice avesse scritto soltanto al patriarca. Per quanto ho esposto, a me sembra che la frase «nostra vice» non sia incompatibile nè con la qualità della persona alla quale la lettera fu diretta, nè col senso generale

  1. Non mancano prove che il doge interrogasse l’assemblea del comune prima di fare una guerra offensiva. Ciò fu praticato anche quando il potere ducale fu assai forte; p. e. al tempo di Pietro Orseolo II, il quale preparò l’impresa di Dalmazia «suoruro consilio munitus» (Cronache veneziane antichissime, I, 256). Che quella frase accenni all’aseemblea, risulta anche da un altro passo; «Ebersapius Venettam adivit et Veneticorum consilio et virtute hoc peregit ut utrique duces [Obelario e Beato] et dignitatem et patriam amitterent» (Cronache &c. I, 105). Naturalmente questi accenni sono rari anche nel cronista Giovanni, perchè nella narrazione delle guerre per solito secondo ’uso comune non altro ricorda che i fatti militari.
  2. Il biografo di Gregorio II (Liber pontificalis, ed. Duchesne, p. 404) ricorda che l’azione diplomatica, di quel papa sedò l’insurrezione dei Venesiani contro Leone l’Isaurico. I Veneziani erano allora retti dal doge Orso.