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268 rassegna bibliografica

dichiarato a Carlo d’Angiò, che, per quanto le cose di Terrasanta i in grande pericolo, non avrebbe fatto in favore di quelle alcuna cosa che tornasse in detrimento dell’impresa di Sicilia; e tenne la promessa. Nel settembre poi dello stesso anno rinnovò contro Manfredi la crociata già banditagli conio da Urbano IV; e, accusandolo nato di stirpe velenosa, persecutore della chiesa, della fede e del diritto ecclesiastico, profanatore di cose sacre, oppressore di popoli, e perturbatore d’Italia, prese nella sua protezione Carlo d’Angiò, come della chiesa e dell’Italia benemerito; e a tutti i crocesignati concesse indulgenze e assoluzioni larghissime, e benefizi temporali (I, 15*, 10*). Un’altra cagione della rovina di Manfredi sta nell’origine sua e nella qualità delle sue armi. Il figliuolo di Federigo II poteva, per molti rispetti, chiamarsi degnamente re italiano; assai più, in ogni modo, dell’emulo suo, il quale veniva in Italia, trattovi da cupidigia di regno e di moneta, e da zelo per la grandezza della chiesa, non già dall’amore de’ popoli oppressi. Ma la signoria di Manfredi reggevasi, sventuratamente, sopra orde di Tedeschi e di Saracini; e siffatte barbare armi non erano tali da promettere all’Italia, se pur lo cercava, un liberatore. Poi, la fede dei baroni del Regno era mal sicura; imperocchè costoro mal sopportarono in ogni tempo la supremazia d’un re; e per amore ai privilegi feudali accostaronsi a quella parte guelfa, che in più felici parti d’Italia era segnacolo di libertà popolare. Quanto alle città, gli Svevi avevanle talora carezzate riconoscere le loro franchigie; ma altre gliene avevano promesse i papi; e incitavale il ricordo dei vecchi ordini municipali, l’esempio della Sicilia vissuta dal 1251 al 50 a repubblica sotto la protezione della chiesa, e il desiderio delle maggiori libertà, di cui godevano le città guelfe di Toscana e di Lombardia1. V’era poi in tutti, angariati dai i balzelli posti da predecessori di re Manfredi e da lui stesso, desiderio di mutare governo, nella speranza di meglio.

In tali condizioni cominciarono le battaglie. L’esercito di re Carlo, superato facilmente il passo di Ceprano, per tradimento o imperizia di chi l’aveva a guardare, pose oste alla terra

  1. Vedi Amari, Guerra del Vespro Siciliano, cap. II.