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68 | storia |
boria spagnola, imbaldanziscono; i cittadini smaniano di salire a nobiltà, e, non potendo colle virtù, vi adoperano le brighe e le subornazioni; i popolani oppressi ed angariati dagli uni e dagli altri. Onde vengono alla città gare e contenzioni; le quali, versando principalmente sopra l’elezione de’ Sindaci, alterano gli ordini dell’amministrazione municipale, e, con questa, le intelligenze tra le famiglie, i parentadi, le clientele1.
Varii di ciò gli accidenti.
Da prima per le ire delle due potenti, anzi prepotenti, famiglie de’ Melissari e de’ Monsolini, in due nemiche fazioni si scompone la cittadinanza. E stando co’ primi i Pugliese, i Mazza, i Filocamo, i Trapani, i Barone, gli Magona, i Saragnano, i Marescalco: co’ secondi i Poerio, i Diano, i Furnari, i Ricca, i Bolani, i Geria, per più anni da uccisioni e zuffe restano turbati la universal quiete e i pubblici e privati negozi2.
Poi, per la sollevazione di Masaniello, crescono i malumori, e ne seguono contese, sedizioni, tumulti. Il palazzo del Governatore assaltato e preso; rotte le porte delle prigioni, e data libertà a’ detenuti; le case de’ Sindaci e de’ nobili che più erano odiati, fatte segno alla furia popolare; i villani in armi, e più degli altri accesi quei di Sasperato, casale di Reggio3. Voleva il popolo non essere oppresso; volevano i grandi opprimere e comandare; voleva il Governatore colle insolenze e co’ segreti maneggi rivendicarsi. E l’Arcivescovo ad interporsi per riconciliar tutti, ma invano. Quindi maggiore la confusione, maggiore la irritazione. Un giorno, sonate le campane, battuti i tamburi, i Reggini corrono impetuosi al castello, vi fanno trincee, piantano cannoni, e furiosamente lo battono. Vincevano; ma ormai le cose di Napoli erano scombuiate, le provincie esitavano, per nuova interposizione dell’Arcivescovo tregua facevasi agli assalti. Restava egli altro che cessare da un inutile combattere? E cessarono4.
- ↑ Lib. VII, cap. 1, §. 1; cap. 6, §.5.
- ↑ Ivi, cap. 1, §. 4. — E non uccisioni e zuffe soltanto, ma accadevano vere tragedie domestiche, che fanno inorridire a leggerle. Basta per tutte la sanguinosa scena del barone di Montebello col marchese di Pentidattilo, la quale è raccontala nel cap. 5 di questo Lib. VII.
- ↑ Ivi, cap. 3, §. 3, 4,5.
- ↑ Ivi, cap. 3, §. 3, 4, 5.