Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu/304

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10 delle antiche relazioni

«nostri uficiali e di nuovi ne ha nominati, e così la Chiesa è umiliata e noi impoveriti e spregiati, mentre che gli emuli del vostro e del nostro potere si adoperano di sottrarre al nostro dominio quello di cui eravamo padroni al tempo dei Longobardi.»

«Per questo noi siamo insultati da molti nostri nemici, che ci dicono: Che vi ha giovato che la stirpe dei Longobardi sia stata abolita e soggiogata dal regno dei Franchi? Ecco che già delle cose promesse nessuna fu mantenuta, e per di più ognuno sa che quanto è stato per lo innanzi conceduto al beato Pietro dalla santa memoria del re Pipino, tutto è stato tolto. Il nostro predecessore inviò da Roma a risiedere in Ravenna quei’ giudici che facevano ragione a tutti coloro che riceveano offesa, (vim patientibus) e questi furono allora il prete Filippo ed il duca Eustachio; e se la Cristianissima Eccellenza Vostra vuole conoscere pienamente il vero, si degni di chiamare e interrogare l’anzidetto Filippo arcivescovo»1.

Questo passo è assai notevole come quello che apertamente dichiara che in questi tempi la giustizia era amministrata in Ravenna da due giudici papali ed inviati da Roma, l’uno cherico, l’altro laico; e questo conferma l’opinione del Troya che in sul finire del secolo ottavo i papi governassero Ravenna, ma i re Franchi ne tenessero l’alto dominio.

Nell’anno seguente (775) il papa indirizza all’imperatore una seconda lettera sullo stesso argomento nella quale gli ricorda la promessa avuta di ricevere suoi messi, nell’autunno, i quali avendo aspettati indarno per tutto il settembre, l’ottobre ed il novembre, ha mandate lettere ai giudici imperiali che stavano a Pavia per saperne qualcosa, e questi gli hanno risposto che nessun messo dovea partire per Roma. Laonde si risolve di mandargli

  1. Fant., Mon. Rav. T. V, N.° 17, Ex Codice Carolino, Car. LIV.