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238 delle antiche relazioni

mato sagace ed astuto uomo, callido, versipelle e subdola volpe) assalita la città tranquilla e sguernita, cacciò Guido da Polenta, e le sue genti (fra le quali erano i ghibellini fuorusciti) rubarono le case del podestà e del giudice. Rivoltasi poscia alla basilica Orsiana, la rapace masna- da ne sconficcò le porte, e penetrata là ov’era il tesoro dell’arcivescovo, vi scoperse tre gran sacchi pieni di danaro. [Moneta veneta in Ravenna] E toltili a gran fatica (chè non si trovò uomo robusto così da poterne solamente smuovere uno dal posto) nei primi trovarono monete ravennati, nel terzo soltanto monete di Venezia.

Questo fatto potrebbe indicare le frequenti relazioni con la repubblica e come la moneta di Ravenna incominciasse a mancare. Erasi infatti divisato di coniarne di nuova, ed in quell’anno medesimo il podestà di Ancona avea mandato a Ravenna certo Marco da Firenze perchè trattasse col Comune e con l’arcivevescovo della forma e del valore delle nuove monete. E si convenne di unificare la lira ravennate e la anconitana, la quale pareggiò, a quanto sembra, 7, 18, 2, delle moderne lire italiane1. E ben presto il papa conferiva il diritto di battere moneta all’arcivescovo Tederico, il quale poi venne a morte il 28 dicembre del 1250.

A strani casi era costui andato incontro nella sua vita come quegli che era stato legato apostolico e nunzio imperiale in oriente, prigioniero di Federigo nelle Puglie, e che poscia ricondotto con sommo onore alla sua sede, aveva avuto tra mano la somma delle cose di Romagna. Che l’autorità dell’arcivescovo rimaneva tuttavia in grande onore, e gelosamente e furiosamente talora era custodita e difesa dal popolo che spesso ne era autore e dispensatore contro la volontà del papa.

Così per la elezione di Tederico, che fu nell’anno 1228, era nata contesa fra l’autorità del clero ravennate e quella

  1. Giuseppe Pinzi, De nummis Ravennatibus. Venezia, 1750.