Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu/337

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rassegna bibliografica 333

l’interna facciata dell’edificio che fu di Santa Corona in Milano, architettata dal Gobbo Salaro, e vedranno quale differenza fra il loro mal composto lavoro e quello diligente e compatto degli antichi. Ma il far bene costa studio e fatica.

Non ci diffonderemo più oltre nell’analisi del libro pubblicato dal sig. C. C., e in cui amor di patria e d’arte ci ha tratti pure troppo innanzi. Prima di finire per altro accenneremo ad alcune inesattezze che abbiamo incontrate nel testo del Pagare; e cioè a pag. 75, ove egli trasforma in Benedetto Fatio il pittore Benedetto Tatto di Varese, non altrimenti che a pag. 74 e 75 scambia il Lanino nel Luino, e a pag. 20 e 60 pone contemporaneamente ai pittori Butinone, Montorfano, Foppa, il Civerchio1 di Crema che ne fu posteriore di quasi un mezzo secolo, e morì nel 1544. Del poeta Baldassare Taccone alessandrino che fu eziandio cancelliere ducale egli fa (Dio glielo perdoni) un antiquario Taccani (pag. 20) confondendolo forse coll’antiquario Giacomo citato poi dal C. C. a pag. 96, 97, 98 e 115. Fa Annibale Fontana (pag. 81) coevo a Bramante che visse un secolo prima di lui2: fa architetti

    falegname. A lui dobbiamo la rovina di alcune belle figure di tarsia in legno nella sagrestia, mirabile lavoro di Lorenzo Canozio sui cartoni dello Squarzone, le quali, egli, ignaro dell’arte della tarsia pittorica, guasto con sostituire pezzi di gretto legno alle parti tarsiate corrose dal tarlo. Egli così operando credeva di far bene, ma il peggio fu che ciò abbiano creduto coloro i quali lo lasciarono fare.

  1. Del pittore Civerchio da Crema abbiamo non ha guari rinvenuto il testamento (1544) da cui ricaviamo alcune notizie pregevoli per la storia dell’arte, e conosciamo principalmente che egli non fu un pittore così antico quale comunemente si crede (Vedi Arch. Stor., tom. XII, par. I, pag. 186) e non può assolutamente essere stato il primo a sentire V’influenza di Leonardo, nè avere educati all’arte il Zenale e il Buttinone, nè può essere stato l’autore di alcuni vecchi affreschi che specialmente in Milano gli vengono attribuiti. Pubblicheremo fra breve in questo giornale il testamento medesimo con alcune annotazioni.
  2. Il Pagave fa menzione anche del nostro egregio scultore Agostino Busto, e gli attribuisce egli pure il noto soprannome di Bambaja. Ma questo è un pretto errore in cui cadde per primo il Vasari, e che fu ripetuto da quanti tolsero da lui. Il Busto non porto mai il soprannome di Bambaja; egli denominavasi a’ suoi tempi Zarabaglia o Zarabaja, forse perchè procedesse in origine dai Garavaglia o dai Frambaglia famiglie antiche milanesi. Il Moriggia lo chiama Agosto Zarabaja o Cerebaglia, e Zarabaja lo appella ripetutamente anche il Lomazzo. Egli forse nominavasi