Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/111

Da Wikisource.

quella fronte che io feci al previlegio de l’entrata che Cesare, per propria bontá di Sua Maestade, mi ha data. E, subito ch’io l’ebbi in mano, cominciai a leggere le cose diffícili che la facondia degli spiriti del vostro ingegno è andata esprimendo si facilmente, che piú di piano e di puro non si pò desiderare. E quello che piú mi ha sospeso in me stesso ne l’opera uscitavi de la mente, è l’avere io conosciuto ne le sue discrezioni il proprio giudizio, che Michelagnolo vòlse che si conoscesse nc le sue pitture di Capclla a Roma. Egli, che sapeva il valor del suo stile, accioché i dipintori avesser meglio a considerare il profondo disegno che il cielo e il suo studio gli diede, uscendo de l’uso degli altri, fece le figure grandi oltra il naturale, perché gii occhi, nel subito alzarsi a quelle, si confondessero ne la maraviglia, e, confusi nel maravigliarsi di ciò, cominciassero sottilmente a ritrar col guardo la possanza de le sue fatiche. Dico che il vostro saggio avvedimento ha posto quel reverito nome di messer Trifone nei suoi ragionamenti, perché chi lo legge si svegli a ricoglicre con l’intelletto gli onori dei vostri detti, veramente degni d’csser posti ne la lingua del padre dei casti, dotti e osservati parlari. Ma, senza altro, per dimostrare la dignitá degli scritti che mi avete mandati, bastava il nome di quel magnanimo signore, a cui il debito e la cortesia vostra ha voluto che gli intitoliate. E per Dio, che la buona fama, la quale ha publicata la gloria de la Poetica vostra, ha detto il vero con maggiori effetti che non mi avevano promesso le parole sue. Onde io vi ringrazio e del volume e de la memoria che tenete di me, che altro piacere non vi ho saputo far mai che amarvi, come io faccio. State sano.

Di Venezia, il 22 di decerabre 1536.