Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/116

Da Wikisource.

XC

AL CARDINAL DI TRENTO

Lo prega di sollecitare l’invio di alcuni danari e di una tazza, promessigli giá da tre anni da Ferdinando d’Austria. Se a ine, signore, che sono odiato e povero, per dire il vero, si dee credere, credetemi che il zelo, che io ho de l’onore del re dei romani, mi move a scrivervi, e non l’avarizia del dono, che Sua Maestá tre anni fa mi promesse, onde le lettere del Castilcgio lo bandirò qua, si come anco pertutto fece il Vergerio, obliandomi, con tale speranza, non altrimenti che se io l’avessi avuto. Dico che la parola d’un si gran principe, non osservando quello che egli volontariamente mi donò con la buona intenzione, ha fatto e fa mormorare di lui tutti coloro che non vorrebbero che egli fusse tale, rimproverandomi i denari e la tazza d’oro, che, se voi non vi ci mettete di mezzo, non son per avere. E non Io dovete fare per adorarvi io come adoro, né per amarlo voi come l’atnate, ma perché in Padova ne la presenza del degnamente riverito dal mondo signor don Lope, imbasciador cesareo, pur assicuraste, che io l’averei, messer Agostin Ricchi, mio giovane dottissimo, che ve ne parlò. Orsú! io non voglio che Ferdinando me lo promettesse, né che il Cardinal di Trento dicesse di farmelo avere. Se Cesare augusto nel suo ritorno di Francia motu proprio mi ha dato ciocché mi ha dato, perché non debbe il suo fratello imitarlo? Monsignore, fate si che tosto la gentilezza reale si esequisca; ché certo a lui sará laude l’aiutar la vertú, e a voi onore l’operare che i vertuosi sieno aiutati. E, quando sia che la mia pessima sorte serri l’orecchie a la cortesia di Sua Maestá, Vostra Signoria reverendissima mi dia almen licenza che io, che mi son vantato del presente, possa ridirmi, senza acquistarne fama di malèdico. Ma io non crederò mai che siate quello che mi séte stato, sopportando che colui, il quale avete consolato col vostro, si disperi