Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/133

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do espedita e libera la buona volontá, che io d’onorarvi tengo; e, se ciò non basta, accettate il mio aver preposto quel che mi donate a tutte le gioie che l’amore e il timore de la penna mia ha tratto dai principi. E, per testimonio del suo essermi carissimo, ne ho arrichita la testa sacra di colei che siede nel cor de la mia anima come sua reina. E vi bascio quella gentil mano, che larga si è degnata porgermi una de le sue cose piú care.

Di Venezia, il 8 di marzo 1537.

CIV

AL SIGNOR GIAMBATTISTA CASTALDO

Lo ringrazia del dono di alcune camice, e narra di un furto subito. Messer Ottaviano Scotto mi ha, signore, consegnate le camisce di renza finamente lavorate di seta nera, e l’ho avute carissime, e penso di far si che non mi sieno rubate, come mi fúr quelle con l’opere di seta chermisi, che mi mandaste doppo i trenta scudi, essendovi trasferito a Mestre nel tornar da la guerra d’Ungheria. Un mio creato, volendo andare a Lucca, sua patria, chiama una gondola a tre ore di notte scura, e, ponendoci suso un forzieri, nel quale erano, con dette camisce, robbe di valore di ducento scudi, usci de la barca per cagione d’un paio di calzoni di velluto, che il sarto aveva di suo; onde il barcaiuolo pontò via con la preda, come sanno fino ai canali di tutta questa cittá. Ma Dio lo perdoni a chi assassina me, che do a ognuno quel ch’io ho! Perciò mai niente ho né averò, se non cambio vezzo. La qual cosa non c possibile, perch’io ebbi la prodigalitá per dota, come la maggior parte degli uomini ha l’avarizia; ed è chiaro che i prodighi spendano ogni cosa in un tratto, come avessero a vivere un di, e gli avari non ispcndano mai cosa alcuna, come avessero a viver sempre. Ma, sia ciocché esser si vòle, ch’io non istimo il mondo, e mi basta la grazia di Dio e quella de la Signoria Vostra, la qual prego che mi comandi.

Di Venezia, il 12 di marzo 1537.