Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/151

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poveretti sono oppressi si dai partegiani dei rei e da le false testimonianze dei pessimi, che è forza che vadino mendicando chi gli aiuti. E io, per me, non danno il mal talento de l’invidia, che, bontá de l’ozio, corteggia i conventi piú che i palazzi, la quale s’interpone fra l’ignoranza e la sapienza di quel sacerdote e di questo; ma do la colpa a l’astuzia del diavolo, che, per turbar la pace dei frati, gli combatte del continuo con altre armi, che non fa i secolari. E certo son pochi dei giusti, perché pochi sono atti a sostenere gli assalti suoi. E perciò consolate Sua reverenda Paternitá, perché vi giuro che è un di quegli che trionfa del suo nimico. Ma. essendomi cotanti principi cortesi di fatti, non debbo io rendermi certo che la riguardata Signoria Vostra mi sia larga di parole?

Di Venezia, il 4 di maggio 1537.

CXXI

A COSIMO DEI MEDICI, DUCA DI FIORENZA

Gli ricorda la servitú da lui prestata a Giovanni dalle Bande nere, e gli dá consigli sul modo di condursi nel governo. Il misero fine, signore, de la Sua Eccellenza e il felice principio de la Vostra mi sono stati come due folgori caduti a un tempo presso al pastore, clic uno il trae di se stesso e l’altro in sé lo ripone. L’udire il suo caso m’accorò, e l’intendere il vostro succedergli mi ravivò; onde ho provato in un tratto che cosa è dolore c allegrezza. Certamente non poteva morir duca che piú m’increscesse d’Alessandro, né era possibile che nascesse duca che piú mi piacesse di Cosimo. Perché io son quello che servii il vostro gran padre vivo e lo sepelii morto. Io son quello che in Mantova lo feci onorare e piangere da chi forse non Laverebbe onorato né pianto. Io son quello clic I10 tratte le lodi sue da la bocca di coloro che per invidia il biasimavano. Io son quello che ho posto in mano degli increduli i torchi de la sua gloria. Io son quello che l’ho tanto piú d’ogni altro amato e