Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/169

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è maraviglia se, quando io paio piú ricco, son piú povero. E, mercé la cortesia, che costi me si dimostra in darmi al tempo ciò che l’ottimo imperadore non m’ha dato a caso, facciasi spettare chi può o chi ha; perché saria pur troppo poco onore quello che si farebbe a Sua Maestá, se io mendicassi i suoi doni. Io conosco la carestia dei danari, che costi fa la divizia de la guerra; ma questa è la gloria del donatore, il quale ai vertuosi dá quando è sforzato a tórre a tutti. Mandiminsi adunque al presente gli scudi ch’io doveva avere il quindici del passato, e il quindici del futuro seguitino gli altri ; e cosi il cor mio stará sempre fermo ne la servitú cesarea e ne la fede ch’io ho nei ministri suoi. Ma, perché voi séte benigno e giusto, per l’avenire voglio che il nome vostro partecipi dei frutti de la vertú che si dice che io ho.

Di Venezia, il 26 di maggio 1537.

CXXXVI

A MESSER AMBROGIO DEGLI EUSEBI

Lo dissuade dal prender moglie. Io mi pensava, figliuolo, allevarti negli studi poetici, e io ti mantengo nei servigi amorosi e, quando io credo udire i tuoi versi, odo i tuoi pianti. Ma sarebbe meno errore che tu ti avessi acquistato un’amica che eletta una moglie. E, per dirti, io ti ho gran compassione, perché chi ama essendo povero, è tormentato da miserabile calamitade. Ma ciò ti avviene per non aver fatto resistenza ai primi assalti d’Amore, come ti consigliai; ché averesti vinto colui, che, poi che ha empiuto l’altrui desiderio di libidine, mette il pentimento nel piacer ricevuto. Or, per venire a la mogliere, beati coloro che le pigliano con le parole e coi fatti le lasciano ! Sai tu a chi esse stan bene? A chi vói diventar da piú che non fu Giobbe, perché, nel sofferire in casa la lor perfidia, l’uomo si avezza a patir fuor di casa l’ingiurie che