Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/174

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da le parole umane; e piú tosto si pò trovare Iddio che narrarlo, e ciò che di lui sapete è sapienza vera e vertu perfetta. Perciò chi ha cura di elleggere il predicator nostro, ci oltraggia l’anime, non mandando uno dei suoi ministri a impetrar la Vostra Riverenza da la Riverenza Vostra. E non è maraviglia se non si fa, perché in ciò né piovano né gentiluomo può compiacere l’amico, e si fatta elezzione è in arbitrio di tutti coloro che pigliano il sacramento in cotal chiesa, e per via di scrutinio si ottiene. Ma, per esser sempre stato, e sempre sará, che il vulgo vulgarmente giudichi ed elegga, va a gran rischio un padre, onor de la sua religione, come séte voi, che si lascia balzar da le pallotte sue. E io, che son piú conosciuto dai re che da la plebe, vergognandomi di me medesimo, mi morrei di fastidio, se, nel mettervi a la prova, perdessi il paragone fatto del saper vostro, non pur dai saputi che vi udirono nei Servi, ma da l’onnipotente giudizio de la serenissima Signoria, il primo giorno di Pasqua, onde rimase stupida nel profondo de le vostre intelligenze. Certo è che fu scritto, essendo anco in piedi la quaresima, a frate Cornelio, e se ne spetta risposta. Non venendo o tardando a dir di voler venire, il piovano si sforzará insieme coi suoi amici e coi miei di far che il seguente anno ci moviamo a ritornare al ben fare per mezzo degli ammaestramenti de la vostra bontade, la qual non vói far mentire il cognome che tiene la vostra nobil casa. Benché vorrei per voi, che séte grande, tentare i grandi, per grandemente essaltarvi ; ché è indegno di noi il dimostrar volontá in cose non convenienti al vostro né al mio grado. E, con ridonarmivi con tutto il core, mi raccomando a le vostre pie orazioni.

Di Venezia, il 5 di giugno 1537.