Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/175

Da Wikisource.

CXI. A MESSERE SPERONE Ne loda il dialogo Dell’amore, recitato a casa sua, a Venezia, da Nicolò Grazia, con l’intervento del Fortunio e di Domenico Gritti. Se non ch’egli è pcrtutto noto come io, onorando fratello, non presi mai doni per le camere dei signori con le reti de radicazione, non ardirei, per non sbassare la grandezza de le scritture vostre, a parlarne, perché il mondo è si corrotto, che chi non aggiugne lode a ciò che altri sente, è tenuto o invidioso o superbo. Pure, non essendo in voi il vizio del volere oltre il dovere esser laudato, né in me la fraude de l’essaltare altrui piú che si convenga, consolandomi piú tosto ne l’offendere con le cose vere che nel dilettare con le false, dico che il Grazia con la sua graziosa maniera ha recitato qui in casa graziosissimamente il vostro dialogo, a la cui nova armonia, senza pur respirare, due di, uno doppo l’altro, stettero appese le caste e dotte orecchie del buon Fortunio e le mie, quali esse si sieno. E, se non che i grandissimi spirti suoi facevano risentire i nostri, conversi in cotal dialogo, simigliavamo persone stupefatte nel vedere cose non piú viste e nel vederle a pena credute. Ma, se a me, che son di verun giudizio, ogni sua natura e ogni sua arte è penetrata ne l’anima, che ha egli fatto ne l’uomo di cotanto intelletto? Da Sua Signoria si può intendere il profondo andare de l’imagine de la gloria vostra, ché cosi si puote chiamar l’opera ch’io dico. È miracolo l’aver rintenerito il duro dei sensi de la materia, de la qual trattate e ne la quale appare il sudore del grande Sperone, la cui industria ha spianati i monti de le impossibilitá, per esser certo che la maggior difficultá che sia è la facilitade, conservando sempre la maestá del decoro nel suo grado. Ma, se dai saputi, che sanno ch’io non so, mi si perdonassi overo non mi si attribuissi a presunzione, aguagliarei la composizione udita al Pantheon di Roma, solo parangone e