Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/189

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la sottigliezza del demonio e a la instabilitá dei poeti; ché, ogni e poco tutto. di Ma furore non che ci mi è intestasse, pericolo, perché ecco in Iddio rovina vuole Roma, che Bologna chi ha in sé macchia alcuna, militi con la natura del cameleontc; e che, guardandovi il viso e odendo il nome che al nome de le maravigliose vostre bellezze ha dato la chiara e latina penna del buon messer Nicolò Franco (*), il vedere e l’udire le faccia caste, gloriose e perfette, come sete voi, che, per grazia del cielo e non per favore umano, vi congiungestc in matrimonio a quel Ferrante, ne le cui vertú si riposa l’animo di Cesare. Ed è certo che egli non poteva esser marito di miglior mogliera, né voi moglie di miglior marito. Onde l’altezza vostra e sua è guardata da noi con istupore di chi vi fecer tali.

Di Venezia, il 17 di giugno 1537. CUI AL SIGNOR LODOVICO DEI MAGI Della j>ensione concessagli da Carlo V. La risposta, tesoriero, che a la mia date, m’ha tutto rintenerito, perché io ho conosciuto ne la amorevolezza de le parole quel che si dice che voi séte. Ed è stato grande il piccolo presente fattomi da l’imperadore, poiché per mezzo suo ho guadagnato per padrone il Cardinal Caracciolo e per amico il signor Lodovico dei Magi, l’uno locotenente di Sua Maestá in Milano, e l’altro tesoriero. Ma, poiché io son diventato vostro, pregovi che mi facciate due grazie, in ricompensa di mille che ve ne renderò per cambio, purché io possa. La prima sia il rimandarmi il privilegio, perché ho piú caro il tenerlo per memoria di Cesare, che me l’ha concesso, che la vita, ch’io spero avere dai miei scritti dopo la morte; e la seconda sará il degnarsi (i> Questo accenno al Franco è soppresso in