Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/199

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fornita, uscirò di debito con l’ottima sua consorte ancora. Io le vo’ far vedere i terrori del di del giudizio ne le mie carte, e piú tremendo sbigottimento sará nel disfare io con le parole questa macchina eiementale chiamata «mondo *, e ’l cielo e le stelle e la luna e il sole, che non è or maraviglia a vederle. Intanto io m’inchino a Quella con fervida affezzione.

Di Venezia, il 26 di giugno 1537.

CLIX

AL SIGNOR GIROLAMO DA CORREGGIO

Ringrazia del dono di alcune pèsche, e loda il vino di Correggio. Io ho fatto il saggio de le pèsche, che di costi mi mandaste, con quelle che anco il conte Lodovico Rangone da Roccabianca pur mandommi, e son quasi di una medesima carne e morbidezza, pienissima di sugo. E credamisi che, cosi mezze guaste e senza la freschezza loro, mi sono piú state a core, per esser venute ai miei di, che i presenti in contanti e in robbe, i quali mi donano i principi. E, si come de le pere bergamotte, che la signora Veronica mi presentò, presentai altri, cosi ho fatto de le pèsche. E mi è parso, mangiandone, mangiare dei pomi che fecero prevaricare la buona memoria d’Adamo, il quale saria stupito in cotesto paradisetto terrestre: ché tale è Correggio, anzi è l’osteria d’ognuno che vòle alzare il fianco senza pagar l’oste. Certo che chi gli facesse male, peccarebbe, perché egli è il giardino de le persone erranti; e, se il mondo si dilettasse di portar fiori, lo terrebbe sempre in mano per un garofano. Bene il conosce messer Giambattista Strozzo, pater patriae, il quale faria morir di fame un uom satollo, ne l’aguzzargli Tappetilo con le laudi che egli dá ai suoi vini, ai suoi pani, a le sue carni, ai suoi melloni e a tutte le sue lussurie golose. Ed è si ostinato, che, se vostra madre non mi dava le botti del bianco e del vermiglio, che ella mi diede, si credeva a tutti i partili ch’io non credessi a la perfezzione