Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/22

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E il marchese, con tutta la nobiltá di casa Gonzaga e de la corte sua, con la folta del popolo dietro, e la turba de le donne su per le finestre, conversa in stupore, ha riverito il tremendo corpo di colui che a voi fu sposo e a me signore, affermando di non veder mai piú essequie di maggior guerriero. Si che riposate la mente nel grembo dei suoi meriti, e mandate Cosimo a Sua Eccellenza, che cosi mi comandò che io vi scrivesse, perché quella vói succedergli in luogo del padre, che gliene ha lasciato per figliuolo. E, se io credessi che Iddio non gli rendesse con doppia usura la copia de le degnitá tolte al mio idolo da la invidia del destino e de la morte, mi gittarei ne le braccia de la disperazione. Ma viviamo, ché cosi sará, perché non pò esser che non sia.

Di Mantova, il io di decembre 1526.

V

AL CAVALIER DA FERMO

Si scusa di non aver ringraziato a tempo del dono di cento scudi e di certo broccato e raso, inviatogli dal marchese di Mantova. Se voi, signor Vicenzo, quando per parte di Sua Eccellenza mi deste i cento scudi, il broccato e il raso, mi aveste veduto il core come mi scorgeste il volto, non vi maravigliavate punto del mio non aver fatto motto nel ricever l’oro e la seta. Perché, interponendosi la indegnitá mia a la splendida bontá del marchese di Mantova, tócca da la conscienza del suo poco merito, si vergognò che la cortesia nova gli rimproverasse la vecchia che gli debbo pagare; onde la lingua, fatta muta per ciò, non potè dirvi quel che doveva dire ne lo accettare il dono, il qual si può chiamar grande e ai buoni e ai cattivi tempi. Ma, per essersi mormorato di cotal mio atto, mostrarò, con l’ufficio che per me fará la penna e non la ciancia, che il presente mi è stato grato e che io non sono ingrato. Di Venezia, il 24 d’aprile 1527,