Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/270

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CCXVI

A MESSER MARCO LOMBARDI

I tristi, che gli lacerano la fama, non sono degni né di punizione nè di perdono. Io vi ringrazio, persona discreta, de la parte che per me pigliate contra i ghiottoni. Benché è opra gittata via, sendo la lode, che dánno i tristi ai buoni, uno espresso vituperio, si come il biasimo gli è uno evidente onore; perché l’uomo pessimo, che dice bene de la persona ottima, fa credere a la gente che il vantato sia de la natura di colui che pur lo vanta. Perciò io sono assai piú obligato ai ribaldi ora che mi lacerano, che quando mi essaltavano. Onde mi risolvo a non gli punire e a non gli perdonare. Io non gli punirei, per non tórre le sue regaglie a le due colonne; e non gli perdonarci, per non consumare la vertú de la clemenza in si profani subietti. E voglio piú tosto eonstrigner me stesso a confessare che non m’abbino offeso, che a dire: — Io vi perdono. — Si che essercitate l’ingegno in altro che in diffondermi da tali. E a Vostra Magnificcnzia mi raccomando.

Di Venezia, il 2 di novembre 1537.

CCXVII

A MESSER BERNARDO NAVAIER

Ò Lodi di Venezia. Il vostro litterato e laudato testimonio, eccellente giovane, insieme con quello de l’onorato messer Girolamo Quirini, puote pur dire agli altri come nel petto dei signor capi, eletti per ammonire e per punire, non rimase verun nuovo né vecchio affetto di benivolenza, dal qual io non fusse teneramente abbracciato: