Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/293

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Ritornate con i pensieri de la mente a l’essercizio de le scienze, accioclié i tempi nostri e i secoli altrui non maladicano l’ozio, che vi tiene abbada con le lusinghe de la pigrizia per compiacere a la morte, la qual tenta di addormentarvi la fantasia, perché le genti che lodarete non ponghino la sede de l’immortalitá nel suo dominio. Che prò è a noi la famigliaritá che avete con la dottrina di tutte le lingue, standovi con lo studio e con lo stile occupato ne l’indugio, dando che dire al tempo, ingiuriato dal silenzio de la vostra penna? Benché io piú che altro perdo nel suo tacere, e io solo non imparo da lei quel ch’io non so e quel che altri non mi saprebbe insegnare. Ma, se non vi move l’interesse del proprio onore e del comune profitto, movavi l’osservanza che sempre ebbi ai singulari gradi de le qualitá di Vostra Signoria, ricordandovi che siamo d’una istessa patria; e di ciò fanno fede i legami de la benivolenza, che anticamente cinsero gli animi aretini e i cori viterbesi. Perciò voi in Arezzo e io in Viterbo potiamo godere dei previlegi e dei magistrati concessi dagli ordini statuiti ne l’una e ne l’altra cittá. Ma questo è poco, a parangone del grado che tiene apresso di voi l’amicizia, che mi congiunse con l’afTetto de la vostra mansuetudine per non mai disepararmene. Onde io vi scongiuro per le sue dolcezze e per le sue caritá che riconciliate con i libri i giorni, che, essendo disviati altrove, par che gli odiano; peroché ben sa Italia che non solamente sapete scrivere opre degne d’esser lette, ma parlate tuttavia cose degne d’essere scritte.

Di Venezia, il 15 di novembre 1537.

CCXXXIV

AL MAGNIFICO MESSER ANTONIO DANDOLO

Accetta di esser padrino di battesimo d’una figliuola dell’amico. Egli non si vói, fratello, mai giudicare sopra il fatto degli amici, benché trappassino gli anni che altri non si rivede insieme; perché occorrono tutto il giorno cose di si fatta natura.