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CCXLVI

A MESSER LUIGI ANICHINI

Mala bestia, Amore! Gli mandi qualche tintura per la barba. Io mi credeva, vedendovi ieri caminare sul trotto dei corrieri pedestri, che voi portaste qualche gran nuova al Rialto. E, scappato l’asino, io trovo che avete accompagnata la signora Viena ne la chiesa, ove battezzammo una bambina insieme. O fratello, questo Amore è la mala bestia, né può componer versi né intagliar gemme chi gli va dietro al culo. Il traforello, secondo me, è uno desiderio stempratissimo, nutrito da la vaghezza del pensiero, il quale mentre la mano de la propria voluptá gli preme il core, gli spiriti, l’anima e i sensi si convertono ne l’affezzione, che egli ne trae. E perciò chi ama, simiglia un di quei tori furibondi spronati da l’«assillo», ché cosi nel mio paese si chiama lo stimolo, che le zecche, le mosche e le vespe dánno a le cavalle e a le micce. Amore in lá, poiché mette gli scultori e i poeti in sul portante. Il bolino non taglia, né la penna non rende, come l’apiccato ci cava dei gangheri. Ma voi séte giovane, e stavvi bene ogni male. Ma il Sansovino e io, vecchi alleluia, rineghiamo l’«Omnia vincila nel vederci assassinare da le sue mariolarie, le quali ci giurano che la zappa e la vanga ce lo cavará de la brachetta. Per la qual cosa, avendo voi qualche bella tinta da far nere le barbe, me vobis commendo ; ma guardate di non me la far turchina, ché, per Dio, simigliarci i due gentiluomini, che stettero per cotal novella murati in casa un anno.

Di Venezia, il 23 di novembre 1537.