Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/311

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mente gli aggiramenti di questa né gli andamenti di quella, per esser tutte due una machina immensa di travaglio e di quiete. Non so chi mantovano, volendo dimostrare come questa cittá stia nel mare, empiendo un baccin d’acqua di mezzi gusci di noci, disse: — Eccola qua! —Come fece anco un predicatore, che, per non si affaticare in disegnar la corte, mostrò al popolo l’inferno dipinto. Or deliberativi di visitarla senza forse, se volete che l’altre terre vi paiano spedali. Mi fece ridere un fiorentino, il quale, vedendo in gondola riccamente apparata una bellissima sposa, stupefatto dai cremisi e da le gioie e dagli ori, che la facevan rilucere, esclamò: — Noi siamo un monte di cenci. — Né s’ingannò punto, perché qui le mogli dei fornai e dei sarti van con piú pompa che le gentildonne nei paesi altrui. E che visi ci si bascia e che carni ci si tocca! Grande ignoranzia fu quella di chi prima locò Venere e Cupido in Cipri: ella regna qui con tutta la brigatella dei suoi figliuoli. E so ch’io dico il vero, dicendo che Domenedio ci sta a piacere undici mesi de l’anno: perciò non ci si sente mai un duol di capo né un sospetto di morte, e la libertá se ne va coi panni alzati, senza trovar chi le dica: — Mandagli giú! — Si che vengavi voglia di venirci, ché vi vo’ far confessare che papa Clemente, che ci fu nel minor grado, ebbe il torto a non assolver di colpa e di pena qualunche ruba altrove per ispendcrlo qui. Or pensate che merito è quel d’un mio pari, che ci ha speso e gittato in meno di undici anni diecimillia scudi acquistati da la propria vertú.

Di Venezia, il 25 di novembre 1537.

CCLI

A MESSER LODOVICO DOLCE

Insiste sulla propria ignoranza, e invia un sonetto. Io, compar, vi scrivo i versi sottoscritti, acioché non crediate che io fugga l’obligo nel quale m’hanno posto i sonetti con che mi loda l’umanitá vostra, e non perch’io sia atto a