Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/318

Da Wikisource.

imperadore, vivendo drento a questa cittá e fuor de le cortiio non fui mai in paradiso, ch’io sappia: perciò non posso imaginarmi come sicn fatte le sue beatitudini. So bene che il morirsi di fame è uno sguazzare il mondo, purché si stia discosto dal loro inferno. Corte, ah? corte, eh? A me pare piú felice un barcaiuolo qui che un camariere ivi. Speranze in lá, favori in qua, grandezze indrieto. Eccoti lá in piedi un povero servidore, eccotelo martorizzato dal freddo o divorato dal caldo: dov’è il fuoco da scaldarlo? dove Tacque da rinfrescarlo? e, amalandosi, qual camera, quale stalla o quale spedale lo ricetta? Ecco la pioggia, ecco la neve, ecco il fango, che ti assassina mentre cavalchi col padrone o in suo servigio. Dove sono i panni da mutarti? dove un buon viso che te si faccia per ciò? Che crudeltá è la barba venuta inanzi al tempo al servir dei fanciulli e i peli canuti dei giovani consumati intorno a le tavole, a le portiere e ai destri. — To’ su questa altra! — disse un uomo dotto e buono, che fu cacciato a le forche, essendo infermo, per non aver voluto fare una rufiíania. Corte, eh? corte, ah? Ci fa piú prò il mangiar pane e scambietti che il fumé de le vivande nei piatti d’argento. Né si potria pagare il merito de la voglia che ti cavi d’una noce o d’una castagna, o doppo o inanzi pasto. E, si come non è passione che agiunga a quella del cortigiano, che è stanco e non ha da sedere, che ha fame e non pò mangiare, c’ha sonno e bisogna che vegghi; cosi non è consolazione che arrivi a la mia, che siedo quando sono stracco» mangio quando ho fame, e dormo quando ho sonno, e tutte Tore son Tore de le mie volontá. Che direm noi de la paura, che occupa sempre quegli, che sanno che l’inciampare in un filo di paglia sbaratta qual servitú e qual fedeltá si sia? Io, per me, godo dei miei stenti, poiché non sono obligato a cavarmi la berretta ai Duranti né agli Ambrogi. Or pensatelo voi s’io sto bene e faccio meglio. Ma ogni mio piacere crescerebbe a pesi, se Vostra Signoria usasse del continuo cotale stanza, perché non trovo pratica che piú mi contenti ; e, quando ragioniamo o ceniamo insieme con Tiziano, non darei del «reverendissimo» al collegio, nonché a Chieti. E mi parvero i di anni, mentre