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CCLXIX

A MESSER GIOVAN MANENTI

Contro il gioco del lotto. Sentendomi, compare, fioccare adosso le bestemie di sessantamilia migliaia di persone, sbudellate, crucifisse e minuzzate da le spettati ve del lotto, sciorinai in vostra scusa una strenua diceria, acquetando i caparbi, che pur volevano che voi foste autore del mettere a la ventura. Certamente, io feci, per difendervi da la tempesta dei cancari, quello che non averia fatto un moggio di scimitarre. E invero cotal novella è invenzione de la sorte asina e de la speranza vacca: esse hanno trovato il piacer da mille forche, acioché le persone si sbattezzino e s’impicchino. Le ribalde simigliano due zingare, che ne la fiera di Foligno e di Lanciano ci fanno stare questo coglione e quel balordo. La speranza piglia la mano dei goffi, mentre la sorte gli tiene a bada, fíngendo di consentire a la baia. Intanto la borsa si rimane come una vescica sgonfiata. Speranza, eh? Sorte, ah? Se in casa di Sattanasso non si dee travagliar con jjí fatte cagne, vadici pur ognuno allcgrissimamente. Le false e bugiarde, quando asassinano uno uomo da bene, vanno iti eslasis, non altrimenti che i villani nel manicare del pane unto. E, per dirvi, questo vostro lotto è maschio o femina? Io, per me, 1 ’ho per ermafrodito, avendo nome «lotto» e «ventura»; e credo che sia la miglior robba d’Italia, poiché da martello a un mondo di gente a un tratto, imbertonando fino a le puttane, tirandosi drieto al culo il popolo e l’arte. Subito che egli comparisce in piazza, ecco trottare a lui i dodicimillia segnati, la cassa del Patto, l’arca di Noè, il tempio di Salamone, le sinagoghe, le moschee, le coorti dei preti, le gerarchie dei frati, co’ tutti i falliti e coi mezzi disperati; onde il volpone, standosi lá, simiglia uno c’ha preso una cesta di lumaconi col lume, il quale si perde tutto in veder trargli fuor