Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/337

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Ha, nel pio lampeggiar del sacro riso e nel fisar del guardo, quel diletto che si prova lassuso in paradiso. Le tempre ha del desio nel casto petto, di natura i miracoli nel viso, e ciò che è di gentil ne l’intelletto.

CCLXXI

A MESSER GIULIO DEI MASSIMI

< 1 • Invia un sonetto. Se il signor magnifico Giulio non avesse l’animo come una piramide, il numero dei danari, che egli spende senza numero, averia tanto moltiplicato ne le sue borse quanto ha scemato; onde i gridi de l’invidia si rimarebber muti. Ma tristo per chi ci nasce cosi; e dimandatene me, anzi il ghetto, tutto pieno dei trofei e de le spoglie dei miei trionfi: benché ho piú caro d’esser visto ignudo da la liberalitá che vestito da l’avarizia, parendomi piú onore il simigliarmi a la gentilezza che a la villania. E in quel poco di fama, ch’io ho, ci ha piú parte la cortesia che la poesia; si che non c’è mal niuno, se ben ci son dei debiti. Onde, per trar la lingua ai rabbiosi, ho messo insieme cotali parole.

Di Venezia, il 3 di decembre 1537. E non fia mai d’Iddio nè piú né meno la gloria, ch’è quando esser dee gradita, benché li abbia stil pronto o lingua ardita biasmato il nome o laudato a pieno. Cosi, Giulio, né il nuvol né ’1 sereno scemare o crescer può l’alma infinita, luce del tuo bel sol, virtute e vita a chi desio d’onore avampa il seno. Le palme proprie tue, tuoi propri allori, bel guiderdon de le fatiche belle, che si son dilettate in farti solo, non isfronda altrui invidia e non isvelle; anzi si poggia al ciel dei veri onori con le penne che avanzano al tuo volo.