Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/358

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CCLXXXIV (*) A MESSER VINCENZO FRANCO, BENEVENTANO Lodi di lui e di Niccolò Franco. Se le vene de l’ingegno si potessero trovare come le minóre de l’oro, voi piú che altro avreste cercatori d’intorno al vostro, peroché il cielo ve l’ha oltramodo arricchito de le sue scienze. Il ventre de l’intelletto, ingravidato da la dottrina, partorisce le perle e i diamanti, e quel de la fortuna si riman sempre sterile. La vertú può farsi la sorte, ma non la sorte la vertú. Oh, s’ella si vendesse, quanti compratori che ella avrebbe! Vi so dire che l’ignoranzia dei principi ne traria la voglia, anzi, per non ispendere un soldo, si rimanerebbero nel solito bue. Veramente, cotali doni son concessi di sopra e se ne vengono ne la mente altrui quasi pioggia che si raccoglie nei luoghi suoi. Bastava il sapere del buon vostro fratello ad onorare cento case del suo legnaggio e a illustrare mille spirti di chi gli verrá doppo. E pure i pianeti, che vi amano, v’han concesso ne lo studio de la natura e de l’arte tutte le gioie degli inchiostri greci e latini, v’hanno infuso nel fonte de la lingua tutti i gran mari de la loquenzia; e, perché tutto questo gli parea poco, vi han fatta tale la dolce calamita de la favella, con la quale da ogni paese traete e addolcite gli animi dei dotti a vedervi e ad udirvi, che i sensi di tutte l’orecchie stupiscono ne l’ascoltarvi. E di questo faran fede apresso quei che verranno ne l’altra etade i volumi infiniti, i quali, cacciandovi de l’intelletto, avete rinchiusi nei forzieri, non senza frode de la gloria e sdegno de la vostra fama, mentre a quella i corsi e a questa cercate d’impigrire i voli. E però potete sprezzare ciò che si aprezza da chi non si cura di vivere, poi che egli è morto. Ma, se io, che, per tener messer Nicolò, per merito de le sue opere, nel grado (i) Soppressa in Ai*.