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XX

AL SERENISSIMO ANDREA GRITTI

doge di Venezia. Gli manifesta la sua gratitudine per avergli fatta fare la pace con Clemente VII, e annuncia di volersi stabilire definitivamente a Venezia. Io, sublime principe, ho due oblighi con Cristo, i quali pareggiano il grado nel quale mi conserva Iddio. L’uno è il trasferirmi, che qui feci, con la sua volontá; l’altro il farvi grata la mia condizione: onde io confesso aver per ciò salvato e l’onore e la vita. Ma la credenza, che sempre dedi al grido di si fatta terra e a la fama di si degno doge, ha gustati i frutti del suo giusto sperare. Talch’io debbo celebrar lei e reverir voi: lei, per avermi accettato; voi, per avermi diffeso da l’altrui persecuzioni, riducendomi in grazia di Clemente, con piacer degli sdegni de la Sua Beatitudine e con iscarico de la mia ragione, la quale è si buona, che, nel mancar de le promesse papali, osserva il silenzio, che la Serenitá Vostra mi impose. E ben si vede la differenza che è tra la fede d’un vertuoso a quella d’un grande. Ma io, che, ne la libertá di cotanto Stato, ho fornito d’imparare a esser libero, refuto la corte in eterno, e qui faccio perpetuo tabernacolo agli anni che mi avanzano; perché qui non ha luogo il tradimento, qui il favore non può far torto al dritto, qui non regna la crudeltá de le meretrici, qui non comanda l’insolenza dei ganimedi, qui non si ruba, qui non si sforza e qui non si amazza. E perciò io, che ho spaventati i rei e assicurati i buoni, mi dono a voi, padri dei vostri popoli, fratelli dei vostri servi, figliuoli de la veritá, amici de la vertú, compagni degli strani, sostegni de la religione, osservatori de la fede, essecutori de la giustizia, erari de la caritade e subietti de la clemenza. Per la qual cosa, principe inclito, racogliete l’affezzion mia in un lembo de la vostra pietá, acioch’io possa lodare la nutrice de l’altre cittá e la madre eletta da Dio per far piú famoso il mondo, e per moderare le consuetudini, e per dare umanitá a l’uomo e