Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/366

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ubidire i vostri prieghi e per sapere in che modo e con quale onore tenete care le composizioni dei belli ingegni, lo mi dolgo di sapere a pena ringraziarvi di molto bene che mi volete e degli uffizi che sempre faceste e fate per me. Or rammentativi di raccomandarmi a P Eccellenza del duca Ercole, mio benefattore e signore.

Di Venezia, il 12 di decembre 1537. 1 L’eterno sonno in un bel marmo puro donni, Ariosto, e ’1 tuo gran nome desto col giorno appare in quel bel clima e ’n questo, di mai sempre vegghiar lieto e sicuro. Ma l’alma, c’hai nel ciel, dice: — Io non curo pregio si vile; — e, ’l fulgido contesto de le stelle mirando, un alto e mesto l’affigge suon teneramente duro. Le sorelle di Febo, afflitte e meste, dicon piangendo: — O almo spirto chiaro, piú che ’l Sol senza veli a mezzo il die, mira noi, di te vedove, che, in veste di duol, spargiam di fior tuo sasso raro, e t’inchiniamo ognor con voci pie.— 2 — Non è qui chiuso il venerabil velo, che fu incarco gentil, sacro e divino de lo spirito eccelso e pellegrino, che dianzi il mondo, or fa gioire il cielo? Qui fu l’albergo in fervido e buon zelo d’ogni grazia e vertude, ond’io l’inchino; qui ’l senno sapea vincere il destino, qui ’l cortese valor nunqua ebbe gelo. Sante reliquie, che il gran marmo serra come caro tesor, quanto mi dole non poter consecrarvi un tempio in terra! — Cosi piange or teneramente il Sole l’alto Ariosto, e l’urna pia diserra con la dolcezza de le sue parole.