Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/401

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torto a Ferdinando, spada e scudo de la cristiana religione. Egli è tale, che, se gli antiqui avessero avuto parte de le qualitá sue, il cognome di «re» non era mai conculcato dai decreti romani. Non sapeva io, duce Gritti e senato veneziano, che, per esser voi giustissimi e religiosissimi, Iddio, come ho detto, ha posto il trono sopra lo spazio di quel cielo, che ricopre Venezia, sola e alma, e perciò non sente se non gioia, pace e felicitá? Non conosceva io Ercole Estense, erario dei costumi degli angeli e albergo de le grazie divine? O Molza, o Giulio Camillo, o Guidiccione, o Fortunio, spargete al suono del suo nome assai lauri e assai mirti. Disornatevi de le corone e de le ghirlande, di che vi fanno gloriosi le muse, e fate onore al redentor de le vertuti e a l’essempio de la eloquenza. Pregiudicava a lo invitto duca d’Urbino, eletto dal paradiso ad indorare il nostro secolo, del quale è lume, speranza e refugio. Io non comprendeva Federico Gonzaga, nel cui grembo si ricovra la pietate. la veritá, la fede e la clemenza. Né vedeva il divo Antonio da Leva, padre e figliuolo de la milizia e de le vittorie. Io non scorgeva il sommo principe di Salerno, che mi addita il Tasso; né il senza inganno duca di Atria. Non raffigurava Loreno né Trento, regno e manto di Pietro. Né voi, Guido Rangone, testimonio de la fedeltá, essempio de la milizia e paragon del valore. Io non poteva veder Claudio conte, ancorché il suo senno sia grande e il suo valore ardente, perché tra l’altrui grandezza e la mia vista si attraversa l’anima del magno Ippolito dei Medici, specchio divino di gloria singulare, il quale occupa piú luogo che il monte Atlante; e, se il cielo non si fa piú in suso, sará tosto avanzato da lui : onde potrá vedere il seggio che di sé ha lasciato vóto Astrea, la quale pareggia le bilance in Fiorenza mercé del suo mirabile duca. O magnanimo Massimiano, o luce d’Italia, ecco che io veggio voi senza niuna contesa. Ed è ben dritto, perché lo splendore, che esce tuttavia da le vostre santissime azzioni, si fa veder da le stelle, a cui séte noto, nonché dagli occhi miei. E perciò a voi solo mi rivolgo, e a voi solo porgo il concepere, il nascere, il vivere, il morire, il resuscitare e lo ascendere in cielo del Figliuolo